Il reddito di cittadinanza, oltre che un disincentivo a trovarsi un lavoro, ha fallito proprio il suo obiettivo prioritario, quello assistenziale: ha raggiunto 2,8 milioni di persone, un numero decisamente inferiore rispetto ai 4,6 milioni di italiani in povertà assoluta certificati dall’Istat
Il governo si accinge a sostituire il Reddito di cittadinanza con la Mia (Misura per l’inclusione attiva) destinando 500 euro mensili ai poveri, 375 a quanti hanno bisogno ma sono occupabili e la sinistra è già pronta alle barricate, nonostante che il Pd di Letta, nel suo programma elettorale, avesse sostenuto la necessità di “ricalibrare opportunamente” il sussidio grillino.
Grande parcheggio senza via d’uscita
“Abbiamo abolito la povertà, noi siamo il vero cambiamento” – annunciò l’allora vicepremier Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi. Ma alla prova dei fatti il reddito di cittadinanza si è rivelato la più grande operazione clientelare nella storia della Repubblica: non ha abolito la povertà e fatto piovere invece denaro su boss mafiosi, ex terroristi, truffatori e su ogni risma di furbetti da divano. L’illuminante corrispondenza territoriale tra numero di beneficiari del reddito di cittadinanza e voti ai Cinque Stelle alle ultime elezioni politiche conferma la vera natura di un sussidio che ha svolto solo in parte la sua funzione sociale per trasformarsi, soprattutto al Sud, in un surrettizio voto di scambio. L’aspetto più preoccupante è che nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni un terzo dei ragazzi meridionali ha scelto il Movimento, dandogli così la palma di primo partito. Una tendenza che svela quanto sia necessaria una profonda operazione politica e culturale per scuotere dal letargo una fascia generazionale che vede nell’assistenzialismo l’unico appiglio di sopravvivenza. E’ una pericolosa illusione, perché oltre il 70 per cento di chi ha ricevuto il sussidio da quando fu varato nel 2019, dopo più di tre anni ne è ancora beneficiario. Questo significa che il reddito di cittadinanza è una specie di grande parcheggio senza vie d’uscita, che non apre alcuna prospettiva se non quella di un confinamento a oltranza nel limbo della semipovertà e del lavoro nero, perché l’incrocio tra sussidio e politiche attive è stato un fallimento e ci vorrà una svolta radicale per far funzionare i centri per l’impiego.
Il reddito di cittadinanza ha fallito l’obiettivo assistenziale
Il reddito di cittadinanza, oltre che un disincentivo a trovarsi un lavoro regolare e un formidabile incentivo a procacciarsene uno in nero, ha fallito proprio il suo obiettivo prioritario, quello assistenziale, visto che ha raggiunto 2,8 milioni di persone, un numero decisamente inferiore rispetto ai 4,6 milioni di italiani in povertà assoluta certificati dall’Istat. Non solo: la forbice tra i single che hanno percepito il reddito e le famiglie numerose è stata ancora più ampia, con il 39,7 per cento dei nuclei coinvolti composto da una sola persona, mentre meno del 10% da 5 o più componenti. Di conseguenza, il 31,2 per cento delle risorse è stato destinato ai single, mentre solo il 12,3 per cento alle famiglie numerose. Dunque: un sussidio ingiusto e squilibrato, su cui è peraltro mancata qualsiasi forma di controllo.
Lo stesso presidente dell’Inps Tridico, padre della misura, ha ammesso che il reddito di cittadinanza è stato probabilmente gravato di molti più compiti di quanto effettivamente era in grado di sostenere, non avendo l’obiettivo di creare lavoro. Una palese ammissione di fallimento, visto che l’obiettivo di coniugare assistenza e politiche attive c’era eccome: altrimenti, per quale motivo sarebbero stati assunti seimila navigator? Da un’analisi realizzata dalla Cgia di Mestre è emerso che ogni posto di lavoro “prodotto” col Rdc è costato allo Stato almeno 52mila euro, oltre il doppio di quanto spende annualmente un imprenditore privato per un operaio a tempo indeterminato full time.
Concludendo: un reddito sociale pagato dalla collettività per chi perde il lavoro o per chi, senza reddito, si trova in condizioni di indigenza è cosa buona e giusta. Ma un reddito di Stato pagato a giovani tra i 20 e i 30 anni, a prescindere da qualsiasi formazione e indirizzo al lavoro, è un’anomalia che distorce il lavoro stesso: con salari pari a 1.200-1.300 euro netti mensili per lavori veri e regolari, i 700 euro netti mensili pagati dal reddito di cittadinanza sono un disincentivo al lavoro vero e regolare e un incentivo a quello nero. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: aziende cercano personale che non trovano disponibile, si allarga l’area del lavoro nero, e si contribuisce a tenere bassi i salari. Cambiare è dunque una necessità e un obbligo, e la Mia nasce proprio per sanare le evidenti storture ideologiche del reddito grillino.