Col pretesto virtuoso di eliminare le correnti, la nuova segretaria ha quindi depennato due componenti costitutive della storia del Partito Democratico
La segreteria Schlein è un parlamentino a sua immagine e somiglianza, che ha consegnato il Pd all’ala movimentista che – esattamente come la leader – non era nemmeno iscritta al partito. Una mutazione genetica, insomma, figlia dell’esito delle primarie e che non ha tenuto in minimo conto il verdetto degli iscritti, per il quale il vincitore era Bonaccini. Il dato più rilevante che balza agli occhi è la marginalizzazione sia dei riformisti che dei cattolici: col pretesto virtuoso di eliminare le correnti, la nuova segretaria ha quindi depennato due componenti costitutive della storia del Pd. La squadra messa in campo col dichiarato intento di “essere un problema per la premier” è lo specchio del mandato al cambiamento ricevuto dalla consultazione nei gazebo, dove però il risultato è stato ampiamente condizionato dagli esterni al partito, per cui sarà interessante vedere i contraccolpi che ci saranno nella navigazione interna per una leader che si è ritagliata il ruolo della donna sola al comando, pur dicendosi convinta di aver scelto “un giusto mix fra rinnovamento, apertura e solidità”. I malumori sono già emersi, e il rischio è di trovarsi presto una schiera di avversari coalizzati, soprattutto se dopo l’effetto-sorpresa il recupero di consensi si fermerà. I cattolici, ad esempio, quale testimonianza potranno dare in una forza di impronta radicale come quella che si sta prefigurando?
Il nuovo asse portante
Del partito custode dell’agenda Draghi, poi, è rimasto ben poco, a parte un’obbligata continuità (ma per quanto?) nel sostegno alla causa ucraina. Il profilo scelto è infatti tutto improntato a una deriva identitaria che sposta l’asse politico tutto a sinistra – diritti, ambiente e lavoro – sul modello Melenchon con qualche sfumatura corbyniana: l’opposto di quanto servirebbe alla sinistra per tornare in sintonia col Paese reale, che non si identifica col mondo Lgbt+ o con le chiamate in piazza per manifestare contro un’immaginaria svolta autoritaria, o con la guerra ai termovalorizzatori (invece la delega all’ambiente è stata affidata a una pasdaran contro l’impianto voluto dal sindaco Gualtieri a Roma).
L’orizzonte politico è molto chiaro, anche se foriero di un’ambiguità strategica: il tentativo di recuperare i consensi ceduti ai Cinque Stelle nella stagione governista e allo stesso tempo l’alleanza con Conte dove è possibile per non subire una nuova disfatta alle prossime amministrative. Ma tutto sommato dalla Schlein non c’era da attendersi nulla di diverso, visto che già nelle sue prime mosse c’erano gli indizi di una regressione massimalista. L’esordio da segretaria in Parlamento fu in questo senso desolante, all’insegna del muro contro muro, brandendo la scimitarra invece del fioretto su una questione – la strage dei migranti a Cutro – che avrebbe richiesto argomentazioni più ponderate e meno liquidatorie.
Un errore che non andrebbe mai commesso, diceva un vecchio saggio del Pci, è quello di credere alla propria propaganda, strumento legittimo dell’azione politica, ma che deve sempre fare i conti con la realtà. Ora la vera missione che attende il nuovo corso piddino è di riempire la propaganda di contenuti, ma su questo resta una fitta nebbia: speriamo che le vacanze pasquali, di cui la Schlein ha detto di avere estremo bisogno, le portino qualche assennato consiglio.