La ricetta della Schlein, che parte dall’aumento delle imposte sulle rendite finanziarie e immobiliari
La ricetta di Elly Schlein per rilanciare l’Italia parte da un vecchio cavallo di battaglia della sinistra, ossia aumentare le imposte sulle rendite finanziarie e immobiliari, che in soldoni significa una cosa sola: patrimoniale, parola magica abbinata a un altro mantra ideologico, quello della “redistribuzione”, che sconta però una distorsione logica, perché senza crescita non ci sarà alcuna possibilità di redistribuire risorse. Il bersaglio di questa politica è sempre stato il ceto medio, l’antica e vituperata borghesia che oggi però, dopo venti anni di crisi, si è profondamente impoverito anche se resta la colonna vertebrale del Paese, e tartassarlo ulteriormente significherebbe provocare un disastro sociale. E dunque, se è assolutamente necessario combattere l’evasione fiscale, allo stesso tempo andrebbe ridotta la pressione fiscale sul ceto medio, l’esatto ’opposto di quanto propone il Pd.
Ma sarebbe ingeneroso imputare solo alla Schlein questo pregiudizio contro la classe media, perché in realtà si tratta di una linea in perfetta continuità con i suoi predecessori. Basta rileggere il programma elettorale presentato da Letta e dai suoi alleati alle ultime politiche, tutto intriso di assistenzialismo, da uno stipendio netto in più l’anno, all’integrazione pubblica della retribuzione in favore dei lavoratori a basso reddito, dall’aumento dei beneficiari della quattordicesima ai diecimila euro ai diciottenni. Senza contare i trasporti pubblici gratuiti per tutti e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Oltre, naturalmente, al mantenimento integrale del reddito di cittadinanza. Un libro dei sogni, insomma, in grado di devastare le casse dello Stato e che presupporrebbe una maxi-patrimoniale a spese dei contribuenti, ovvero di quei soliti noti che non possono sfuggire alla mannaia del fisco.
Il Pd, del resto, aveva messo in cima al suo programma la tassa di successione per assicurare una dote ai diciottenni, confermando la vocazione del Pd partito delle tasse. Il contributo di solidarietà, alias patrimoniale, veniva propagandato come uno strumento di equità sociale, ma avrebbe finito per colpire soprattutto le proprietà immobiliari e i risparmi del ceto medio, un limone già ampiamente spremuto. Considerare patrimoni da un milione di euro e i risparmi di una vita lasciati ai figli come ricchezze da espropriare riflette una concezione punitiva – e inaccettabile -della proprietà privata. Ma è la vecchia concezione tassa-e-spendi tanto cara alla sinistra.
Diciamolo chiaro, allora: la patrimoniale sarebbe un autentico esproprio in un Paese che ha già una pressione fiscale altissima e che andrebbe oltretutto a colpire beni già ampiamente tassati. Il no a una patrimoniale, insomma, ha molte e convincenti motivazioni: sarebbe una misura anti-crescita senza produrre peraltro effetti strutturali e riducendo solo temporaneamente il debito pubblico, ma deprimerebbe anche il valore dei beni immobili bloccando investimenti e consumi. Alla base delle imposte patrimoniali, oltre all’incapacità dei governi di tenere in ordine il bilancio pubblico con politiche oculate, c’è sempre una matrice ideologico-punitiva nei confronti della ricchezza. Il tema dell’equità è una questione vera, ma non si affronta con misure demagogiche che colpirebbero i risparmi di una vita.
C’è, infine, un’altra ingiustizia implicita nascosta nelle patrimoniali: le società di comodo detentrici dei beni altrui, non essendo persone fisiche, ne sarebbero escluse, con la conseguenza che mentre il cittadino medio vedrebbe tutto il suo patrimonio assoggettato alla tassa, molti ricchi pagherebbero la patrimoniale solo su una parte dei propri beni, quelli – appunto – non trasferiti a società di comodo. Quindi gran parte dell’imposta patrimoniale uscirebbe dalle tasche dei soliti cittadini rispettosi delle regole. I soliti noti che non ne possono più. Eppure, basterebbe ricordare la grande lezione di Einaudi: “Nei Paesi dove le imposte sono davvero democratiche non si parla mai di patrimoniali”.