Sono circa 1,3 milioni i dipendenti che lavorano da anni in condizioni precarie. Basse retribuzioni, turni di lavoro massacranti, umiliazioni e promesse di benefit mai arrivati, hanno spinto molti lavoratori a compiere l’estremo gesto
Conosciuta come la più grande produttrice di dispositivi elettronici, l’azienda cinese Foxconn è diventata simbolo di un’ondata di suicidi senza precedenti. Sono circa 1,3 milioni i dipendenti che lavorano da anni in condizioni precarie. Basse retribuzioni, turni di lavoro massacranti, umiliazioni e promesse di benefit mai arrivati, hanno spinto molti lavoratori a compiere l’estremo gesto, buttandosi dalla cima del dormitorio aziendale dell’impianto di Longhua, alle porte di Shenzhen. I primi casi risalgono al 2007, ma il picco si è registrato tra marzo e maggio 2010, con dieci casi di suicidio. In totale se ne registrano almeno 17 in meno di cinque anni.
Questi numeri hanno colto l’attenzione di organizzazioni, come la China Labour Watch, per delle indagini circa le condizioni di lavoro sui vari impianti della Foxconn. In particolare, quello di Zhengzhou, dove sono assemblati la metà degli iPhone che vengono venduti ogni anno in tutto il mondo. Dalle ricerche è emerso che ancora nel 2019, i salari erano rimasti ai livelli degli scorsi anni, insufficienti per assicurare una vita dignitosa. La China Labour Watch è riuscita a far luce anche su un altro fattore preoccupante: lo sfruttamento di studenti lavoratori nei periodi di picco della domanda.
Le soluzioni per il contenimento dei casi
Davanti questi gesti estremi, Foxconn ha dovuto pensare a delle risoluzioni. Per contenere questo tragico andamento, Terry Gou – magnate di Taiwan e fondatore dell’azienda – ha fatto installare delle reti all’esterno degli edifici ed ha garantito un risarcimento alla famiglia del defunto di centomila yuan a fronte dei duemila yuan (circa 277,5 euro) percepiti ogni mese dai dipendenti.
La sfida del Covid-19
Il Covid-19 ha fatto da amplificatore a quelle che sono le condizioni di lavoro sempre più preoccupanti all’interno dell’azienda. Già nel marzo scorso, gli impianti di Longhua e Guanlan sono stati costretti a fermare la produzione per evitare la diffusione del virus. In quel periodo, molti dipendenti si erano dati alla fuga a causa delle restrizioni nella provincia. La stessa situazione si ripropone oggi, a Zhengzhou, dove l’area circostante la Foxconn è stata sottoposta a lockdown per il contenimento del Covid-19, obbligando circa duecentomila lavoratori a stare a casa. Per convincere gli operai a lavorare nell’impianto a circuito chiuso, la fabbrica di Zhengzhou ha poi offerto dei bonus e dei tamponi quotidiani a tutto il personale. La paura di contrarre il virus continua a dilagare tra i dipendenti dell’azienda, così come il peso del lavoro e della vita all’interno di questi maxi-stabilimenti.