La persona animata dalla migliore buona volontà avrebbe difficoltà insormontabili per apprezzare la strategia messa in campo dal centro-sinistra per scegliere il candidato alla presidenza della Basilicata. Chiorazzo, Lacernese, poi ancora Chiorazzo e infine Marrese sono i nomi che hanno animato la girandola di ipotesi, di veti, di ricatti e minacce in un centro-sinistra uscito sfibrato e confuso. E, c’è da scommettere senza essere partigiani, sconfitto al voto di aprile. Quello che è accaduto da venerdì a oggi, domenica, ha dell’incredibile anche per chi ne ha viste tante fra la prima e la seconda Repubblica. Senza prenderla alla larga, alcune considerazioni si impongono. La prima riguarda il vuoto pneumatico in cui gira quella che ci ostiniamo a chiamare politica ma che, sotto i nostri occhi, è diventata un’altra cosa che è difficile definire secondo il nomenclatore del buon senso. È piuttosto qualcosa che assomiglia a una forma di wrestling combattuta in camicia e non su un ring, o un torneo individuale in cui si fanno scelte non per vincere ma per ipotecare la vittoria nel torneo successivo. Fra Potenza e Roma, il centro-sinistra ha dato una strabiliante prova di inconsistenza politica, di una allarmante fumosità strategica da lasciare allibiti anche i più strenui sostenitori.
Il pasticcio lucano, non si sa se davvero concluso mentre scriviamo queste righe, ha messo in luce i gravi limiti delle leadership di Schlein e Conte: la prima, per la irresolutezza mostrata nel negoziare la candidatura di Lacerenza e per non aver saputo spiegare quella di Chiorazzo. Per chi davvero coltiva l’idea di un “campo largo” (a proposito, sarebbe opportuno trovare una nuova definizione, meno disponibile alle ironie) come può trascurare i contenuti programmatici, non solo nelle singole regioni o comuni chiamati al voto, ma sul piano della politica nazionale. È illusorio pensare che la somma di 7 o 10 accordi in altrettante Regioni possa dare come totale una comune strategia di politica estera o economica sul piano nazionale. Mai come nel caso di Schlein è necessario partire dalle fondamenta: la guerra e la pace, insomma la politica estera è il fondamento di qualsiasi coalizione che aspiri seriamente al governo del Paese. Ne sa qualcosa Giorgia Meloni, abilissima nel compiere straordinarie evoluzioni acrobatiche dopo il 25 settembre 2022. Anche per lei, però, alcuni nodi verranno presto al pettine, con il voto europeo e, soprattutto, con le presidenziali americane.
Quanto ai limiti di Conte, essi riguardano le ambizioni del personaggio e la tenacia con cui sa piegare il partito a una strategia disegnata al solo scopo di tornare laddove circostanze del tutto fortuite lo avevano collocato. Il M5S non è un partito, esiste come tale solo in determinate circostanze. Come quando, per esempio, si tratta di prendere d’infilata il Pd e alzare il prezzo di un accordo strappando una candidatura e, nel caso della Sardegna, conquistare una Regione. Con ciò alimentando le illusioni di quelle componenti del Pd, e della stessa Schlein, che il campo largo sia lì, al giro d’angolo.
In questo gioco di specchi riflessi, Calenda è rimasto impigliato come il ragno nella sua tela. L’egolatria del personaggio, si sa, è irreversibile. Se poi ci aggiungi una dose massiccia di ingenuità politica, allora si precipita nel folklore di politica che più dialettale non potrebbe essere. Accusare Conte di voler affossare il centrosinistra e in particolare il Pd, e poi annunciare che Azione appoggia Bardi significa cercare il capolavoro dell’impoliticità. Anzi, significa arrivare secondo dopo l’amato Renzi, a scegliere il candidato di centrodestra. A Calenda, e con lui a Renzi, va riconosciuto il merito di aver definitivamente affossato ogni progetto di Terzo Polo. Si erano messi all’impresa con la tenacia di chi si ripeteva ogni minuto “c’è una prateria elettorale davanti a noi”. La prateria è alle loro spalle. Ammesso che sia mai esistita, su quella prateria pascola oggi un serafico Tajani. I lettori ricorderanno che fra i propositi napoleonici di Calenda e Renzi c’era quello di “svuotare” Forza Italia. Oggi, Tajani, con i toni suadenti, gli apre le porte e commenta: bene che Renzi e Calenda stiano con il centrodestra e sostengono due governatori come Bardi e Cirio, in Piemonte. Erano andati per svuotare, oggi un magnanimo Tajani gli offre asilo politico, e domani magari anche elettorale.