Oggi dovrebbero esserci tutte le condizioni, anche a sinistra, per riconoscere la dignità che merita a un’altra data cruciale: il 18 aprile 1948 che, grazie alla vittoria della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati, fu lo spartiacque storico per l’ancoraggio dell’Italia all’Occidente
Il Pd non molla la presa dopo gli scivoloni storici di La Russa, e ha presentato una mozione – sottoscritta da tutti i gruppi di opposizione – per impegnare il Senato “ad adottare le iniziative necessarie affinché le commemorazioni delle date fondative della nostra storia antifascista si svolgano nel rispetto della verità storica condivisa…”. Il riferimento è, ovviamente, al 25 aprile e al 2 giugno, ma anche al Primo Maggio, Festa dei lavoratori. La sinistra, secondo tradizione, aspetta l’anniversario della Liberazione per mettere in evidenza le persistenti ambiguità della destra, ovvero di Fratelli d’Italia, sull’antifascismo che in certi interventi sono apparse ancora evidenti, anche se a onor del vero la premier sull’argomento ha pronunciato in Parlamento parole inequivocabili sul regime mussoliniano. Ma visto che la nostra politica continua a procedere con gli occhi rivolti al passato, questa mozione storiografica potrebbe essere lo spunto per una riflessione proprio sul paradigma antifascista – giusto e incontestabile – su cui fu fondata la nostra Repubblica, ampliandola al motivo per cui lo stesso ripudio non comprese anche il comunismo, come se ci fosse un totalitarismo buono e uno cattivo. Il motivo in realtà è risaputo: la Costituzione fu scritta insieme al Pci, che a quei tempi era un satellite dell’Urss di Stalin, e dunque un compromesso fu indispensabile.
Le condizioni attuali e il dibattito politico
Ma oggi dovrebbero esserci tutte le condizioni, anche a sinistra, per riconoscere la dignità che merita a un’altra data cruciale: il 18 aprile 1948, che grazie alla vittoria della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati fu lo spartiacque storico per l’ancoraggio dell’Italia all’Occidente. Il rischio di finire sotto il tallone di Stalin, se avesse prevalso il Fronte Popolare, sarebbe stato infatti concreto, con conseguenze imprevedibili anche sul piano internazionale: la Costituzione della Repubblica era entrata in vigore il primo gennaio, e in quei quattro mesi l’Unione Sovietica con tre mosse micidiali – il colpo di Stato a Praga, l’inizio del blocco di Berlino e l’imposizione di una Costituzione comunista in Romania – aveva avviato di fatto la Guerra Fredda con una progressiva politica espansionistica. Nessuno avrebbe pensato, tre quarti di secolo dopo, che l’Europa si sarebbe trovata a fronteggiare un’altra sfida ugualmente epocale, nonostante che il comunismo sia storicamente morto con la caduta del Muro di Berlino. Il disgelo favorito prima dalla glasnost di Gorbaciov e poi dalla decisione di Yeltsin di disgregare l’impero aveva suscitato la speranza di una Russia avviata verso la piena integrazione con le democrazie occidentali, e la firma apposta da Putin al Trattato di Pratica di Mare sembrò completare quel percorso di pacificazione.
La guerra ha stravolto il paradigma
La guerra in Ucraina ha invece stravolto i vecchi schemi e messo insieme a nudo tutta la fragilità della costruzione europea, terreno fertile e già ampiamente coltivato da una Russia diventata la grande madre dei rinascenti nazionalismi e attivissima nella guerra ibrida per destabilizzare l’Occidente. Per questo ora, in un contesto così profondamente mutato, quel 18 aprile riacquista improvvisamente il suo significato originario: allora fu paragonato a una seconda Lepanto, in quanto se la battaglia di Lepanto aveva impedito ai musulmani di invadere l’Europa, le elezioni del ‘48 scongiurarono la consegna dell’Italia al comunismo. Se il 25 aprile del ’45 aveva segnato la fine del nazifascismo per l’opera determinante delle truppe anglo-americane appoggiate dalla Resistenza, il 18 aprile di tre anni dopo fu la data in cui l’Italia scelse la democrazia e la libertà, sconfiggendo il pericolo frontista. Insieme alla Dc di De Gasperi vinse insomma la maggioranza del Paese che aveva capito quanto sarebbe stato esiziale consegnarsi in mano al Pci di Togliatti, proprio mentre in tutta l’Europa dell’Est i partiti comunisti obbedienti a Stalin costituivano Repubbliche popolari sottomesse all’Unione Sovietica. La vittoria arrivò grazie alla mobilitazione dei partiti democratici e allo spirito di crociata dei comitati civici un anno prima della scomunica lanciata da Pio XII, il 28 giugno del 1949, nei riguardi dei cristiani che aderivano alla dottrina di Marx e collaboravano con i movimenti comunisti.
Oggi dunque, con l’inatteso ritorno della Guerra Fredda e della cortina di ferro, dovremmo dirci più che mai tutti figli del 18 aprile 1948, che grazie alla levatura di uomini come De Gasperi, Saragat, Einaudi, Pacciardi, seppe indirizzare l’Italia dalla parte della libertà, della democrazia, dell’atlantismo e dell’europeismo, valori che restano vivi e irrinunciabili e che ci richiamano a un’altra scelta di campo senza ambiguità. Ed è sconfortante constatare come pacifisti, neutralisti e filo-Putin abbiano finto di dimenticare la lezione della storia.