Il governo francese è appena sopravvissuto per soli 9 voti alla sfiducia sulla riforma. Adesso gli occhi sono puntati sul Consiglio costituzionale
No allo scioglimento dell’Assemblea nazionale, no a un rimpasto di governo, no a un referendum. Dopo che il governo francese è sopravvissuto per soli 9 voti alla sfiducia sulla contestata riforma delle pensioni, Emmanuel Macron tira dritto e pare al momento non voler cedere. Si esprimerà mercoledì alle 13 in un’intervista dall’Eliseo a Tf1 e France 2, ma intanto la sua posizione è filtrata sui media francesi da fonti concordanti che erano presenti alla riunione avvenuta in mattinata con la premier Elisabeth Borne e con i vertici della maggioranza sul come affrontare la crisi politica.
Riforma pensioni: adottata, ma non ancora promulgata
La riforma prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni: pur in assenza del voto parlamentare, che è stato bypassato con l’applicazione dell’articolo 49.3 della Costituzione francese, risulta ora adottata. Adottata ma non ancora promulgata. Dunque due domande restano aperte: come continuare a governare dopo essere scampati alla sfiducia per soli 9 voti, e qual è il percorso che attende la riforma. Tanto più che la contestazione di piazza resta consistente: lunedì sera migliaia di persone sono scese in strada in tutto il Paese, da Parigi a Tolosa, da Strasburgo a Nantes, e si sono verificati scontri con la polizia, che nella capitale ha fermato 234 persone ed è intervenuta 240 volte per cassonetti della spazzatura in fiamme.
La strategia di Macron
Sul come governare, stando a fonti citate da France Inter, l’idea di Macron sarebbe “legiferare meno” e agire di più con regolamenti, riprogrammando l’agenda legislativa. E un membro della maggioranza avrebbe detto che “bisogna pacificare prima di trarre insegnamenti”, che invece si potranno ricavare “fra due o tre settimane”. Insomma, per ora pedine ferme, senza rimpasto né scioglimento dell’Assemblea, prendendo tempo.
Il ruolo del Consiglio costituzionale
Per quanto riguarda il testo della riforma, invece, gli occhi sono puntati sul Consiglio costituzionale, che è stato chiamato in causa tanto dalla premier Borne, quanto dalle opposizioni. Dovrà valutare sia la forma (se sia stato appropriato considerare il testo nell’ambito di una legge di finanziamento della sicurezza sociale, cioè il Plfrss, Projet de loi de financement rectificative de la sécurité sociale), sia nel merito. Per fare questo la Corte costituzionale ha un mese di tempo, ma se il governo lo chiede con urgenza la tempistica è di 8 giorni.
L’arma del referendum
Gli occhi sono puntati sul Consiglio costituzionale anche perché vi è stata depositata lunedì sera una richiesta di referendum sulla riforma delle pensioni; si tratta della procedura del référendum d’initiative partagée (RIP), arma costituzionale che prevede la possibilità di organizzare una consultazione popolare su richiesta di 1/5 dei membri del Parlamento (ovvero 185 su 925, cioè 577 deputati e 348 senatori), ma che dovrebbe essere sostenuta da 1/10 degli elettori. Tradotto: se la Corte costituzionale giudicherà ammissibile la richiesta presentata da circa 250 parlamentari (e ha un mese di tempo per esprimersi), ci saranno poi 9 mesi per raccogliere le firme di 4,87 milioni di persone. A quel punto, se in Parlamento viene organizzato un nuovo dibattito sulla riforma, si potrebbe ancora evitare il referendum, che altrimenti dovrebbe tenersi.
La stretta sui tempi
Il calendario non va sottovalutato, sottolinea la testata L’Express, evidenziando che se il testo di riforma delle pensioni venisse promulgato prima della convalida del referendum di iniziativa popolare da parte della Corte costituzionale, la consultazione non potrà essere indetta in quanto “non può avere come oggetto l’abrogazione di una disposizione legislativa promulgata da meno di un anno”.