Il presidente della Repubblica non ha usato mezzi termini: l’emergenza migratoria va affrontata “come problema dell’Unione, nessuno Stato da solo può affrontare un problema così epocale, ma l’Unione può farlo con un’azione coordinata e bene organizzata”
Sul fronte dell’immigrazione dall’Africa l’Unione europea è un colosso immobile, frenato dagli egoismi nazionali e ancora lontano anni luce dalla definizione di una politica comune di asilo. Siamo ancora fermi al Trattato di Dublino, siglato in un’epoca storica del tutto diversa, che impone l’onere dell’accoglienza solo agli Stati di primo approdo, a una perenne discrasia tra le direttive della Commissione e le decisioni del Consiglio europeo e al vincolo anacronistico dell’unanimità che porta a perenni compromessi al ribasso e impedisce di modificare trattati ormai vetusti. In questo senso, le forti parole pronunciate dal presidente Mattarella a Varsavia sono risuonate da monito e al tempo stesso hanno implicitamente smentito l’esistenza di contrasti fra il Quirinale e il governo Meloni, impegnato in prima linea a fronteggiare un’insostenibile ondata migratoria. Mattarella non ha usato mezzi termini: l’emergenza migratoria va affrontata “come problema dell’Unione, nessuno Stato da solo può affrontare un problema così epocale, ma l’Unione può farlo con un’azione coordinata e bene organizzata”. Mattarella ha quindi sollecitato “una nuova politica di migrazione e di asilo dentro l’Unione, superando vecchie regole che sono ormai della preistoria. Tutto questo richiama anche al rapporto col Continente africano”, dove “si stanno esercitando pressioni e iniziative destabilizzanti: quanto avviene in queste ore in Sudan è allarmante”, come “richiama a grande allarme la Nato e l’Unione europea l’azione della Wagner in tanti Paesi africani. Questo richiede un’azione dell’Unione europea attiva, protagonista, da soggetto che si impegni fortemente su questi fronti”. Il discorso del capo dello Stato ha dunque trattato tutti i temi cruciali del momento – ribadendo la ferma condanna per le atrocità russe in Ucraina – sottolineando l’urgenza di un ritorno dell’Europa in Africa per difendere i propri interessi in un Continente strategico lasciato in balìa di Cina e Russia e di medie potenze come la Turchia. Un’Africa destabilizzata è una bomba a orologeria pronta a deflagrare, con ricadute epocali soprattutto sull’Italia.
Una consapevolezza che ha mostrato di avere il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber, che in un’intervista al Corriere della sera ha rimarcato la necessità di “misure concrete di solidarietà verso l’Italia da parte degli altri Paesi Ue. Il governo tedesco e francese, ma anche gli altri, non possono stare a guardare, devono portare volontariamente i migranti con un diritto di asilo sul loro territorio”. Weber ha anche aperto – ed è la prima volta – al superamento del Trattato di Dublino e ha esplicitamente ringraziato il governo italiano per il modo in cui accoglie i migranti e cerca di salvarli e aiutarli: “Abbiamo bisogno di azioni comuni – ha detto – e ci rammarichiamo molto del fatto che da parte della Commissione e degli Stati Ue non ci siano molta consapevolezza, né ascolto né molta azione verso un problema serio”, annunciando un emendamento al bilancio europeo per finanziare con fondi comunitari la costruzione di muri alle frontiere, “perché non si tratta di proteggere i confini nazionali ma quelli europei”.
Una misura che non serve all’Italia, che ha l’obbligo di salvare chi arriva via mare, ma per dare un segnale concreto di solidarietà Weber ha proposto alla Commissione e agli Stati membri di presentare al Consiglio europeo un’offerta economica alla Tunisia per diminuire gli sbarchi: “L’abbiamo già fatto anni fa con il piano Ue per la Turchia, per il quale abbiamo speso circa 6 miliardi. Serve uno sforzo simile con i nostri partner del Nord Africa”.