Le cifre indicate dal ministro Fitto lo dimostrano: sarebbe necessario spendere in meno di un anno un volume di risorse quasi pari a quanto rendicontato dal 2015 a oggi. E’ quindi urgente intervenire in maniera strutturale
Il governo ha molte valide ragioni per sostenere che i tempi dettati dall’Ue per spendere le risorse del Pnrr sono troppo stretti, e le cifre indicate dal ministro Fitto nella relazione allegata al Def lo dimostrano: sarebbe infatti necessario spendere in meno di un anno un volume di risorse quasi pari a quanto rendicontato dal 2015 a oggi. E’ quindi “necessario e urgente” intervenire in maniera strutturale per cambiare il sistema con cui i fondi vengono utilizzati. L’Italia, a fine 2022, ha speso solo il 62% delle risorse del Fondo europeo per lo sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo, in tutto quasi 65 miliardi di euro.
La richiesta di flessibilità all’Europa per un sistema di vasi comunicanti tra Pnrr e fondi di coesione è dunque oltremodo realistica, perché ci sono colli di bottiglia amministrativi e ordinamentali impossibili da rimuovere in pochi mesi. Il Pnrr ha vincoli di destinazione molto precisi (digitale, ambiente e infrastrutture) e l’Europa ci chiede di spenderli quasi interamente in acquisti di beni e servizi, ma al contrario dei trasferimenti, la spesa per beni e servizi richiede progetti specifici, e non tutte le amministrazioni sono in grado di spendere bene e in così poco tempo le enormi risorse disponibili. Prendiamo la digitalizzazione: la Ue ci impone di stanziare 50 miliardi in tre anni, e si dovranno fare migliaia di progetti specifici. Quante delle nostre realtà locali hanno le competenze necessarie? Inoltre, per acquistare dei beni come i computer o i cavi per digitalizzare la pubblica amministrazione, o dei servizi come quelli forniti dai consulenti informatici, bisogna indire delle gare d’appalto, superare i ricorsi delle imprese perdenti, e poi procedere in tempi rapidi all’esecuzione. Un solo esempio: il primo bando per la diga foranea di Genova è andato deserto proprio per la questione dei costi lievitati a causa dell’inflazione, mentre al secondo una ditta ha vinto ma la concorrente ha fatto subito ricorso al Tar, bloccando tutto. Quella del Pnrr è dunque una corsa a handicap con troppe palle al piede: il nocciolo del problema è “di sistema”, e infatti i ritardi si stanno accumulando nel passaggio dall’allocazione dei fondi, per la quale i tempi sono stati sostanzialmente rispettati, alla spesa effettiva delle risorse da parte dei soggetti attuatori a causa dei bandi di gara non andati ancora a buon fine. Purtroppo, le criticità italiane nella capacità di spesa sono endemiche: negli ultimi cinque anni non siamo riusciti a spendere 70 miliardi di euro di fondi strutturali europei e dei 44,7 miliardi a disposizione nel periodo di bilancio Ue 2014.2020 sono stati attivati progetti per soli 18 miliardi, con 10,4 per interventi nelle aree più svantaggiate ancora bloccati.
Non solo: spesso i fondi comunitari sono stati impiegati alla stregua di una spesa sostitutiva e non aggiuntiva, ed è mancata una governance adeguata per evitare la parcellizzazione dei programmi. Si tratta di dati di inefficienza gravi, e nessuno ha la bacchetta magica per cancellarli d’emblée, anche se la sfida del Pnrr va proprio nella direzione di dotarci di un sistema di programmazione, controllo ed esecuzione delle opere molto più stringente. Entro il 2023 l’Italia dovrebbe infatti stanziare 135 miliardi (il 70% del totale, 45 miliardi all’anno in media) e farsi approvare i progetti per il restante 30%. Vanno dunque accelerati l’iter di approvazione dei progetti e il rilascio dei pareri, con una rapida messa a punto della governance del Pnrr e delle regole per attuarlo, oltre a un’interlocuzione costruttiva con l’Ue – e i segnali sembrano incoraggianti – per rivedere almeno in parte obiettivi e tempistiche. Partendo da un dato di realtà che non era stato compiutamente valutato dalla narrazione ottimistica invalsa durante il governo Draghi: il motore di un’utilitaria come la macchina-Italia non può mettersi d’improvviso a correre come una Ferrari. E anche se lo facesse, viste le ultime prestazioni delle rosse di Maranello, sarebbe probabilmente uguale.