Morto Matteo Messina Denaro, l’uomo che ha lasciato in eredità il nulla che ha creato

È morto oggi a 62 anni nell'Ospedale San Salvatore dell'Aquila l'uomo che fece della latitanza la sua ragione di vita. Con Tommaso Ricciardelli, esperto sul tema mafia, abbiamo analizzato più da vicino la figura del boss, il suo significato e la sua eredità

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La mafia ha cambiato volto e l’immagine costruita sopra Matteo Messina Denaro non è totalmente corrispondente al vero. Nella visione collettiva spesso questa figura viene ingigantita, a volte fraintesa, addirittura idolatrata. Le domande da farsi sono più di un paio se vogliamo capire cosa succederà ora: chi era realmente Matteo Messina Denaro? Che ruolo aveva all’interno del mondo mafioso? Che eredità ha lasciato ai posteri? Che significa la sua morte per Cosa Nostra?

Per rispondere in modo più approfondito a questi numerosi interrogativi abbiamo raggiunto Tommaso Ricciardelli, che fin da adolescente ha iniziato a studiare il fenomeno mafioso e che adesso ne parla ampiamente collaborando con l’Espresso, scrivendo libri sul tema con la collana mafia “storia della criminalità organizzata”, del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport e gestendo la pagina Instagram “Parliamo di Mafia”.

Qual è la mafia di Matteo Messina Denaro

Non tutti lo sanno ma la mafia è cambiata. Ora ne esiste un tipo diverso, chiamato Cosa Grigia. Matteo Messina Denaro ha fatto da spartiacque tra il vecchio e il nuovo, tra Cosa Nostra e la mafia dei colletti bianchi, anche detta borghesia mafiosa. Il modus operandi è cambiato: ora tutto il sistema criminale è perfettamente inserito nell’economia legale.

I mafiosi non hanno la pistola, hanno la cravatta e una valigetta in mano con dentro i tablet. Anche le azioni criminali che vengono intraprese sono diverse. Si ricicla denaro sporco, non si ammazza più. È meglio corrompere, utilizzare la macchina del fango contro i propri detrattori, fare un discorso mediatico. Alla mafia interessa che i propri accoliti vengano protetti e questo lo fa anche pagando giornali e addetti stampa: l’obiettivo è mettere a tacere l’informazione e indurla a lasciar cadere inchieste che potrebbero svelare scomode verità.

La zona grigia di Trapani tra Mafia e Massoneria

Ad ogni modo, Matteo Messina Denaro era il capo mandamento di Castel Vetrano, comprendente Mazara del Vallo, Trapani e Campo Bello di Mazara. Ma di queste aree geografiche la più interessante e particolare, a livello criminale, è sicuramente Trapani. “Bisogna partire dall’omicidio dell’’88 di Mauro Rostagno, un giornalista che stava indagando sulla loggia Iside 2 all’interno del centro studi scontrino di Trapani, un centro che nessuno sapeva fosse una cerniera tra i mondi: imprenditoria, magistratura, politica locale, tutta la borghesia e la criminalità organizzata” ha iniziato a raccontare Tommaso Ricciardelli a proposito della storia criminale della città.

Mauro Rostagno
Mauro Rostagno, giornalista attivista ucciso il 26 settembre 1988 dalla mafia

Quindi, la particolarità della terra sta proprio nel fatto che già all’epoca, negli anni ’80 aveva dimostrato di essere fondamentale a livello criminale e saper agire su più livelli di complessità e classi sociali con una presenza fondamentale della massoneria che ha contribuito ad alimentare il tutto. Il rapporto tra le due, Mafia e Massoneria, è davvero interessante da approfondire. Sta di fatto che Messina Denaro è permeato in questo contesto, con una cultura anche più alta rispetto ad altri boss” continua Tommaso.

I rapporti tra Matteo Messina Denaro e la massoneria sono evidenti. Quando fu arrestato nella tasca egli aveva il numero del gran maestro della loggia di Trapani. E non è un caso che il medico curante capo della clinica la Maddalena a Palermo fosse anche lui un massone. Come, infine, non era un caso che il predecessore di Riina, Stefano Bontate, aveva il 33esimo grado della massoneria, quello massimo”. 

Matteo Messina Denaro e il rapporto con i D’Alì

Matteo Messina Denaro era una personalità molto complessa, un uomo che viaggiava a più velocità, con mille vite e mille volti. Non è solo un mafioso: è un imprenditore, ha investito nell’eolico e si è comprato praticamente tutti i Despar in circolazione (i supermercati siciliani). Parliamo di una persona che ha capito prima degli altri l’importanza di inserirsi all’interno di contesti para massonici e para politici. È Tommaso Ricciardelli a spiegarcelo in maniera più approfondita: “Anche un mese prima che guarda caso venisse arrestato aveva la protezione dell’ex sottosegretario all’interno ed ex senatore Antonio D’Alì, che fa parte di una famiglia di grandi latifondisti proprietari terrieri”.

I rapporti tra le famiglie Messina Denaro e D’Alì duravano già da tempo, da quando il padre e boss don Ciccio Francesco Messina Denaro si era messo a lavorare per loro come campiere, per nascondere e giustificare il legame tra le famiglie. Questa facciata serviva ad entrambi: loro fornivano i voti con i quali Antonio D’Alì divenne con Forza Italia uno degli uomini più potenti della penisola e l’unica cosa che i Messina Denaro chiedevano in cambio era la protezione politica per evitare di essere catturati”. Infatti – continua Tommaso nel 1998 Don Ciccio Messina Denaro muore da latitante in un campo vicino a Trapani a Castelvetrano. Lo trovarono disteso in un campo, vestito di tutto punto con un completo nero bellissimo. Con sé aveva un bigliettino, le ultime parole, l’ultima beffa: “Ora mi potete prendere””. Al figlio, però, non è toccata la stessa sorte.

La Mafia e la maschera dell’ignoranza

Ma essere agricoltori vuol dire essere ignoranti? Non proprio, questa retorica del lavoro serve solo come copertura alla Mafia. In questo modo è più difficile far credere che un semplice uomo che si occupa della terra possa governare un’intera organizzazione criminale. Riina era ignorante, ma non come voleva far credere e men che meno lo era Matteo Messina Denaro.

Non era un ignorante e lo dimostra lo scambio epistolare tra il boss di trapani e Vaccarino, l’ex sindaco di Castel Vetrano”. L’esempio, fornito da Tommaso Ricciardelli, è esplicativo di come l’apparenza non corrisponda alla sostanza quando si parla di Mafia: “I servizi segreti italiani dissero a Vaccarino di scoprire dove fosse ubicato. La missione non riuscì, Matteo Messina Denaro se ne accorse e giurò a Vaccarino la morte. La cosa più interessante in tutta questa vicenda era il contenuto delle lettere, il modo in cui scriveva il boss. Le sue citazioni erano alte, colte. Insomma, non è da tutti citare i poeti del decadentismo francese”.

Matteo Messina Denaro non si è fatto prendere

Altra bugia è il fatto che si sia fatto prendere. Matteo Messina Denaro era alla clinica la Maddalena e aveva il nome falso di Andrea Bonafede, altri 10 documenti falsi dentro casa e nei vari covi. Il boss stava vivendo una vita tranquilla e quando sono arrivati i carabinieri provò anche a scappare tramite il bar della clinica. Solo in seguito gli agenti lo hanno bloccato e portato fuori. Non esiste e non è mai esistito un boss, una primula rossa, un latitante che si sia voluto far prendere. Ma oltre alle questioni che legano la cultura mafiosa alla clinica Maddalena, il boss riceveva cure migliori rispetto a quelle riservate ai comuni mortali. Anche perché, quest’ultime, le pagava di tasca propria, cioè con i soldi provenienti da affari illeciti.

Matteo Messina Denaro non è mai stato capo di Cosa Nostra

Altro punto importante, “non è mai stato il capo di Cosa Nostra” ci spiega Tommaso a proposito del ruolo che occupava Messina Denaro all’interno dell’organizzazione criminale. “Lui era il capo del mandamento di Castelvetrano, cioè di famiglie che facevano capo a determinate località del territorio. Tramite la loro vicinanza, a livello geografico, si mettono insieme e creano le province e poi iniziano un mandamento. Quello di Castelvetrano comprende Mazara, della famiglia di Mazara del Vallo, la famiglia di Trapani e la famiglia di Campo Bello di Mazara, luogo dove lui è stato preso. Cosa nostra non si è più ripresa dal 2018, dall’operazione cupola 2.0, che sancì effettivamente la sua caduta finale. Dopo Riina non c’è più stato un boss dei boss”.

Cosa vuol dire la morte di Matteo Messina Denaro?

Ma cosa abbiamo effettivamente perso dopo la morte di uno dei latitanti più ricercati in Italia? I segreti più importanti della penisola. “Lui era l’ultimo depositario dei segreti insieme ai fratelli Graviano che anche se ancora vivi non parleranno mai” ha precisato Tommaso. Ma nulla più di questo, nessun grande scompenso all’interno di Cosa Nostra.

La morte di Matteo Messina Denaro: un discorso di eredità

La mitizzazione criminale ha attirato negli anni centinaia se non migliaia di giovani che hanno ingrossato le fila di Cosa Nostra soprattutto nei quartieri più malfamati. È questo quello che vogliono le mafie, dei ragazzini da poter plagiare e da utilizzare come meglio credono. Matteo Messina Denaro è un Re in questo e sa bene che il suo esempio, sia per i mafiosi in carcere sia per i ragazzini, sarà da imitare. Sta di fatto che, alla fine dei conti, se bisogna fare un bilancio, l’unica eredità che ha lasciato resta il nulla, perché è il nulla quello che ha creato.  

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