Il bilancio conta già 49 morti e centinaia di feriti. La protesta potrebbe continuare nei prossimi giorni con un assalto al Parlamento
Resta altissima la tensione in Perù, dove nel sud prosegue la mobilitazione antigovernativa che ha, fra i suoi obiettivi, la paralisi dei trasporti terrestri, ferroviari e aerei. Sono sei le regioni coinvolte (Arequipa, Moquegua, Tacna, Cusco, Madre de Dios e Apurímac), con cortei, blocchi stradali e blitz per l’occupazione di infrastrutture e centri di produzione. Questo ha provocato scontri fra manifestanti e forze dell’ordine ed un pesante bilancio di 49 morti e centinaia di feriti.
Duro colpo al turismo di Machu Picchu
L’emergenza è diventata molto alta a Cusco, dove un commando di dimostranti ha tentato di penetrare nell’aeroporto internazionale, ma sono stati bloccati da un forte dispositivo delle forze dell’ordine.
Queste tensioni hanno spinto le autorità aeroportuali ad annunciare la chiusura dello scalo di Cusco, il secondo per importanza in Perù dopo Lima, e autentico hub per i turisti che da tutto il mondo visitano la cittadella incaica di Machu Picchu.
Si tratta di un vero e proprio colpo al turismo, importante voce del bilancio statale peruviano, ulteriormente aggravato anche dalla decisione della compagnia Ferrocarril Transandino S.A. di sospendere a tempo indeterminato il collegamento ferroviario Ollantaytambo – Machu Picchu. Questo era già avvenuto una prima volta durante le manifestazioni del dicembre scorso, quando la misura restrittiva aveva bloccato anche un gruppo di turisti italiani. Attualmente, ha appreso l’ANSA presso l’ambasciata d’Italia a Lima, non si registrano segnalazioni di connazionali in difficoltà, che “hanno a disposizione un numero telefonico di emergenza attivo le 24 ore”.
3 governatori chiedono dimissioni del presidente
Le prospettive per i giorni a venire sono incerte, perché pare che i coordinatori della protesta stiano per annunciare un trasferimento di manifestanti a Lima, con l’obiettivo di rendere più efficaci le loro rivendicazioni: scioglimento del Parlamento, rinuncia della presidente Dina Boluarte ed elezioni immediate.
Il governo, che invita al dialogo ma che finora si è affidato soprattutto alle forze di sicurezza, deve affrontare crescenti critiche politiche. Si è dimesso il ministro del Lavoro, che ha parlato di “eccesso di repressione” e di “necessità di volti nuovi”, mentre tre governatori e un consiglio regionale (Cusco, Puno, Apurimac e Ayacucho) hanno esplicitamente chiesto le dimissioni del capo dello stato.