In occasione del 66esimo anniversario della strage nella miniera belga che coinvolse 136 lavoratori italiani, il capo dello Stato ricorda i morti sul lavoro. Giorgia Meloni intanto avverte: «Non strumentalizzare tragedia di ieri per i migranti di oggi»
Suonano 262 rintocchi le campane di Bois du Cazier, in Belgio: tanti colpi quante le vittime della tragedia di Marcinelle, avvenuta nel 1956, nella quale rimasero coinvolti anche 136 italiani. La commemorazione si svolge negli spazi della miniera, oggi dichiarati patrimonio Unesco, con la lettura dei nomi di coloro che persero la vita.
In rappresentanza dell’Italia, il segretario del Pd, Enrico Letta, e l’ambasciatore italiano in Belgio, Francesco Genuardi, nonché i famigliari delle vittime, una delegazione di Alpini e, per la prima volta, un gruppo di studenti del liceo romano Francesco Vivona.
Arriva il messaggio di cordoglio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in una lettera scrive: «Rivolgo un commosso pensiero ai minatori che l’8 agosto 1956 perirono a Marcinelle. Quella tragedia costò la vita, tra gli altri, a 136 connazionali». Il capo dello Stato ricorda che dal 2001 la ricorrenza è stata proclamata “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”.
«Le dolorose esperienze dei lavoratori migranti, maturate nei decenni precedenti il Trattato di Maastricht, hanno sollecitato la promozione dei diritti dei lavoratori al livello europeo, contribuendo alla creazione di un’Europa coesa, solidale, fondata anche su un pilastro sociale», ricorda Mattarella, sottolineando la vicinanza dello Stato a tutte le famiglie delle vittime della tragedia del 1956.
Meloni: «Marcinelle non diventi strumentalizzazione»
Giorgia Meloni, in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera, ricorda di fare attenzione al paragone fra la tragedia di Marcinelle e il tema dell’immigrazione straniera in Italia di oggi: «Ricordiamo i caduti sul lavoro lontano dalla patria, chiniamo il capo impegnandoci a preservarne la memoria da una certa, interessata, retorica di parte».
«Non credo credo sia difficile notare come il quadrofosse radicalmente diverso da quello dell’attuale situazione dell’immigrazione verso l’Italia. Qui e oggi, accanto all’immigrazione regolare conosciamo ingenti flussi di immigrati irregolari che i governi di sinistra non hanno mai saputo né voluto arginare», ricorda la leader di Fratelli d’Italia. Supporto, tuttavia, verso la partecipazione di Enrico Letta alle commemorazioni in Belgio.
«Una parte consistente di questi irregolari diventa manodopera per la criminalità organizzata, altri, certo, per caporali e pseudo-imprenditori senza scrupoli, che li utilizzano per rivedere al ribasso le condizioni sociali e salariali dei lavoratori italiani – conclude il volto del centrodestra italiano – Di fronte a questo dramma quotidiano, è doveroso ristabilire il principio elementare che in Italia si può accedere e permanere soltanto rispettando le nostre leggi».
La tragedia di Marcinelle: 262 mori chiusi in miniera
L’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle un incendio provocato dalla combustione d’olio provocò la morte di 262 minatori, di cui 136 italiani. Solamente 13 furono i sopravvissuti.
L’incidente di Marcinelle è il terzo per numero di vittime italiane sul lavoro all’estero. L’invio di manodopera del nostro Paese in Belgio nel secondo dopoguerra fu sancita dal Protocollo italo-belga: rimasta a corto di dipendenti nelle sue industrie, Bruxelles chiese a Roma un’equipe di 50mila minatori in cambio di carbone.
Da lì nacquero gli ampi flussi migratori italiani degli anni Cinquanta verso le miniere belghe, che vedevano negli altri Paesi europei un’alternativa alla povertà. La tragedia di Marcinelle fu determinata anche dalla scarsa manutenzione nella vecchia cava d’estrazione, in funzione fin dal 1830.
Ogni anno, l’ultimo minatore italiano superstite dell’evento, Urbano Ciacci, torna nella miniera. Sulla soglia degli 88 anni, l’uomo ricorda: «Li conoscevo tutti. C’era Armando, che cantava meglio di Pavarotti. C’era Jan Koller, tedesco, fu lui a prendermi. È stata la più grande catastrofe dopo la seconda guerra mondiale e non arriverò mai a sapere cosa accadde davvero». Ciacci scampò alla tragedia perché in quei giorni tornò in Italia, nel Pesarese, per sposarsi.