Dalla Chiesa ucraina la richiesta al Consiglio dei patriarchi apostolici delle Antiche Chiese Orientali di giudicare il capo della Chiesa ortodossa russa
Ammonta a 430 il numero dei sacerdoti della Chiesa ucraina sotto il Patriarcato di Mosca che ha chiesto al Consiglio dei patriarchi apostolici delle Antiche Chiese Orientali, la più importante corte della religione ortodossa, di giudicare il Patriarca russo Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa, per le sue dichiarazioni a sostegno di Putin e dell’invasione dell’Ucraina.
«Siamo un Paese che ama la pace e non abbiamo alcun desiderio di guerra, ma amiamo la nostra Patria e saremo pronti a difenderla nel modo in cui solo i russi possono difendere il loro Paese» ha dichiarato Kirill durante la liturgia celebrata nella Cattedrale Patriarcale alla presenza dell’esercito.
La denuncia collettiva
Il caso è stato segnalato da Andriy Pinchuk, arciprete dell’eparchia di Dnepropetrovsk, che è parte della Chiesa ucraina, il quale ha chiesto di privare Kirill del potere patriarcale; la sua protesta è stata ascoltata da 430 sacerdoti della stessa Chiesa, che addebitano a Kirill crimini morali con le sue parole e che si sono poi rivolti al loro metropolita, Onufryj di Kiev, suggerendogli senza ottenere risposta di proclamare l’autocefalia rispetto al Patriarcato di Mosca, in modo da stabilire un regime di autogoverno.
«Come sacerdoti della Chiesa e come semplici cristiani, siamo sempre stati e saremo sempre con il nostro popolo, con coloro che soffrono e hanno bisogno di aiuto. Sosteniamo pienamente le autorità statali ucraine e le forze armate ucraine nella loro lotta contro l’aggressore», affermano i sacerdoti, chiedendo di esaminare le dichiarazioni pubbliche di Kirill alla luce delle Sacre Scritture.
C’è incertezza riguardo la riunione dei patriarchi, comunque prevista da mesi per valutare la scelta di Kirill di istituire un esarcato russo in Africa, nel territorio corrispondente ad Alessandria: due dei quattro coinvolti, Teofilos III di Gerusalemme e Ioannis X di Antiochia, sono sostenitori di Kirill e potrebbero non essere disposti ad accogliere il reclamo; inoltre questo tribunale, composto dai quattro membri dell’antica Pentarchia (Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme e Antiochia), non ha una reale efficacia nell’ambito delle Chiese aderenti alla religione ortodossa né ha mai davvero agito in maniera che lo si potesse attestare.
La soluzione più realistica sembrerebbe pertanto demandare il processo al Sinodo dello stesso Patriarcato di Mosca, la cui assise è stata rimandata a fine anno a causa della delicata situazione internazionale; difficile anche pensare a una partecipazione del Onufryj e dei vescovi ucraini, ora in contrasto diretto con il Patriarca.
Il Patriarca: guerra contro chi sostiene i diritti degli omosessuali
Già lo scorso 6 marzo, in occasione della Domenica del Perdono, che in Russia segna l’inizio del periodo di Quaresima, il Patriarca si era fatto notare giustificando la guerra, vista come una lotta contro quei modelli di vita peccaminosi e contrari alla tradizione cristiana, di cui il Gay Pride rappresenta la più evidente delle manifestazioni.
Non più uno scontro armato, ma quasi spirituale; una sorta di crociata contro tutti quei Paesi che sostengono ideali «offerti da chi rivendica il potere mondiale» e percepiti incompatibili con la cristianità.
«Se l’umanità concorda sul fatto che il peccato è una delle opzioni per il comportamento umano, allora la civiltà umana finirà lì». Il significato dell’invasione dell’Ucraina e di tutto ciò che ne consegue non è per Kirill eminentemente politico: «Si tratta della salvezza umana, di dove andrà a finire l’umanità».