Il partito promotore commenta: «La giustizia ha bisogno di riforme, chiedere il voto del popolo può essere utile con un Parlamento che non le fa»
«Il processo referendario, come storia ci insegna, è difficile e molto tortuoso: la scelta dei quesiti, la formazione del comitato promotore, il deposito in Cassazione, la raccolta delle firme, il giudizio della Corte Costituzionale, gli spazi televisivi e infine, solo infine, il quorum da superare», così in una lunga nota Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni, rispettivamente segretario, tesoriera e presidente dei Radicali italiani commentano la sconfitta del referendum.
«In Italia è quasi impossibile promuovere e vincere referendum: dall’impossibilità di raccogliere 500mila firme autenticate e certificate, al giudizio politico della Corte Costituzionale, passando per il boicottaggio del cosiddetto servizio pubblico della Rai e finendo con l’esistenza di un quorum che spazza via quasi ogni consultazione popolare», continua l’appunto.
«Abbiamo sempre condiviso i quesiti e li abbiamo lealmente sostenuti, non certo il metodo. Si è scelto di affidare la conduzione di questa battaglia a uno dei più grandi partiti che ha sempre fatto della politica securitaria la sua ragion d’essere, a chi ha ripetuto mille volte che occorreva rinchiudere in galera e ‘buttare la chiave’ rivolto a imputati in attesa di giudizio. Per di più la Lega inizialmente ha cavalcato l’iniziativa per poi abbandonarla per motivi che Salvini dovrebbe spiegare. La credibilità di chi propone i referendum conta, eccome se conta. La Giustizia – concludono – ha bisogno di riforme, i referendum possono essere utilissimi con un Parlamento che non le fa ma non possono essere utilizzati strumentalmente».