A pochi giorni di distanza dalle elezioni in Australia, dove le immagini dei cittadini in costume da bagno in fila alle urne hanno fatto il giro del mondo, in Italia si discute sulla correttezza di un invito all’astensionismo. Se in Australia si assiste a quello che per i cittadini italiani può apparire come uno strambo giogo democratico, per cui i cittadini aventi diritto sono obbligati per legge ad andare a votare, nel nostro Paese si riflette su un concetto che appare per molti tratti ossimorico: l’astensionismo politico.
Si tratta di un termine che non ha coniato il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, che lo ha pronunciato ieri scatenando una dura polemica nelle opposizioni, ma che in realtà assume al suo interno diverse sfaccettature. Come riporta Il Glossario Elettorale di Polyas, con questa dicitura si indica l’astensione per propria volontà e per ragioni di indifferenza, ostentazione o protesta dalla partecipazione alla vita politica o da qualsiasi atto politico.
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All’interno di questa definizione piuttosto generica, poi, si inseriscono tre sotto-definizioni. L’astensionismo politico può essere tecnico elettorale, ovvero causato da insufficiente chiarezza sui processi elettorali o da problemi organizzativi sul recapito dei documenti necessari al voto, fisiologico, cioè dovuto a motivi personali legati alla salute dell’avente diritto, o per sfiducia o protesta, quindi legato ad una mancanza di fiducia nella politica o nel potere decisionale di un singolo.
Alla luce di elementi del presente, ma anche del passato, sembra che a queste tre definizioni debba esserne aggiunta una quarta: l’astensionismo per appello di figure appartenenti allo stesso mondo politico. Il caso che ha scatenato le polemiche, infatti, riguarda il referendum indetto per i giorni 8 e 9 giugno per permettere ai cittadini italiani di esprimere il proprio voto in relazione ai quattro quesiti sul lavoro, presentati dalla Cgil, e su quello per l’assegnazione della cittadinanza italiana.
I leader dei partiti della maggioranza di governo, ad eccezione di Noi Moderati, hanno infatti esortato i loro elettori a non recarsi alle urne, scegliendo “il non voto, che è una forma di voto tramite cui i cittadini possono esprimere il proprio dissenso“, per citare le parole del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Una linea che è stata adottata anche da Forza Italia, come dimostrano le parole di Tajani, secondo cui i forzisti sono per “l’astensionismo politico“, in quanto non condividono affatto la proposta referendaria.
In pochi attimi, le opposizioni sono insorte criticando duramente il posizionamento dei due partiti e condannando una richiesta che dal loro punto di vista andrebbe contro l’ordinamento democratico. Una polemica che però non è stata accolta dalla maggioranza, che ha ricordato come in Italia il voto sia un diritto che può essere espresso oppure no.
La posizione assunta da FdI e FI non sarebbe la prima espressione di un invito all’astensionismo nel nostro Paese. Un precedente entrato nella storia risale al referendum del 9 giugno 1991, indetto su iniziativa di Mario Segni e dedicato alla riforma della legge elettorale. In quell’occasione, Bettino Craxi, leader del partito socialista, invitò gli italiani a disertare il voto e piuttosto “andare al mare“. Gli italiani, però, decisero di non ascoltare il consiglio, tanto da far salire le presenze fino al 62,6% degli aventi diritto.
Oggi, la situazione sembra ripresentarsi ma, tenendo conto dei dati sull’astensionismo in Italia, sembra poco probabile che possa concludersi allo stesso modo del 1991. Alle elezioni europee del giugno 2024 ha votato solo il 49,69% degli aventi diritto, mentre alle politiche del 2022 il 63,78%. In quest’ultimo caso la percentuale potrebbe apparire rincuorante, ma il dato appare ben più catastrofico se paragonato al 72,9% del 2018.
La situazione non cambia se si prendono in considerazione altri tipi di votazioni. Nel 2024 si sono tenute in Italia 7 elezioni regionali e in ogni caso i dati sull’affluenza non sono stati rincuoranti. In Sardegna ha votato il 52,4% degli aventi diritto, in Abruzzo il 52,19%, in Basilicata il 55,3%, in Piemonte il 55,3%, in Liguria il 45,97%, in Emilia Romagna il 46,42% e in Umbria il 52,3%.
In un Paese in cui a votare è solitamente un cittadino su due, l’appello di FdI e FI risuona come una sorta di endorsement nei confronti di un comportamento che però è sintomo di una disaffezione e di un disinteresse politico. Una sorta di cortocircuito avallato dalla Costituzione italiana. Igor Iezzi, deputato della Lega, sottolinea infatti che l’astensione “non è un segnale di disimpegno, anzi è il massimo dell’impegno per non raggiungere il quorum“.
Parole che confermerebbero la teoria secondo cui l’appello dei partiti di maggioranza nasce per evitare che il referendum possa effettivamente avere la possibilità di ottenere l’abrogazione dei cinque quesiti. Una possibilità che il leader della Cgil, Maurizio Landini, aveva ipotizzato già nelle scorse settimane, sottolineando la mancanza di attenzione data al referendum da parte dal centrodestra e dalla tv pubblica.
Il segretario della Cgil ha poi ricordato le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in occasione del 25 aprile aveva proprio ricordato l’importanza della partecipazione alla vita democratica. “È l’esercizio democratico che sostanzia la nostra libertà“, aveva infatti ricordato il Capo dello Stato nel suo intervento a Genova, aggiungendo che l’Italia “non può arrendersi all’assenteismo dei cittadini dalla cosa pubblica, a una democrazia a bassa intensità“.
I partiti di centrodestra si aggrappano alla consapevolezza che la volontà di non esprimere il proprio voto sia effettivamente un diritto, come lo è quella di recarsi alle urne. Eppure, l’appello di FdI e Fi rischia di dequalificare e minimizzare l’importanza di un esercizio su cui si basa la libertà dei popoli. Soprattutto in un momento storico in cui l’astensionismo assume le caratteristiche di una piaga. Le sollecitazioni al voto per le elezioni politiche, i richiami ai doveri della democrazia e della vita pubblica sembrano annullarsi di fronte a quella che resta una lotta politica.
Nel momento in cui il voto diventa un pericolo, sembra sempre più fondamentale esercitarlo, nella consapevolezza che questo resta l’unica modalità per tenere a freno le derive antidemocratiche. Di fronte al muro durissimo delle forze di governo, quindi, diventa ancora più fondamentale lo sforzo delle opposizioni. A queste, infatti, spetta il compito di convincere almeno il 50% della popolazione ad esprimere il proprio voto al referendum.
I cittadini restano quindi in balia di una situazione politica incerta, in cui il peso della mancanza di interesse si mescola all’imprevedibilità dei temi attuali. L’appello a non esprimere un’opinione, affidandosi totalmente a quanto dichiarato dal proprio partito di appartenenza, dovrebbe spingere gli italiani a chiedersi il motivo di questa richiesta.
La speranza è il che popolo decida in autonomia, rivendicando sempre il proprio diritto alla libertà di scelta. Come recita l’articolo 48 della Costituzione italiana, finora tirato più volte in ballo dalle forze politiche bipartisan, il voto è “un dovere civico“. Nessun obbligo, dunque, ma solo la consapevolezza che ogni singola scelta conta e senza consenso non vi è democrazia.
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