Avete mai notato i giocatori di quelle squadre di calcio che si avviano a fine partita sepolti sotto una valanga di goal? Guardano in direzione di qualcuno di quei grandi orologi digitali che sovrastano le tribune e quasi vorrebbero sospingerne le lancette per sentire il fischio finale. Fine martirio, tutti negli spogliatoi. Ecco, qualcosa del genere, non proprio una sindrome, sta accadendo a Elly Schlein. Chissà sfogliando un calendario da tavolo nel suo ufficio al Nazareno se le sarà capitato di arrivare al 10 giugno… sì, che sarebbe poi lo spogliatoio, il fine supplizio. Aperte le urne, contato quel che è rimasto da contare, si smonta il palcoscenico e tutti amici come prima. Da quando, nel febbraio scorso, ha preso le redini del partito per Elly è stato un continuo andirivieni con Conte. Sì che la partenza era stata di quelle brucianti. “Non ci hanno visto arrivare”, fu il suo commento, col senno di poi non sai se più audace o sarcastico, all’indomani del trionfo su Stefano Bonaccini, vincitore delle primarie di partito a sconfitto in quelle di popolo.
Il mandato era chiaro: ridimensionare Giuseppe Conte, succhiargli le ruote come Bartali faceva con Coppi e provare a infilarlo nel rettilineo finale. Ora, quasi un anno dopo, a dar retta a quei segnali orario che sono diventati i sondaggi politici, e Giuseppe Conte che nutre la speranza più che legittima di fare un sol boccone di Elly. Il voto sulle mozioni sugli aiuti militari a Kiev è stato un capolavoro di insipienza politica. Quasi mezzo secolo dopo le fatidiche parole di Enrico Berlinguer che diceva di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato, Elly sarebbe in fondo, molto in fondo, tentata di chiudere quell’ombrello. Fosse per lei, sia chiaro, lo terrebbe sempre aperto, ma poi come si mette con Conte? Ridimensionare un furbo di tre cotte, un politico senza principi e valori, ma maestro di svicolamento e abile nel tuffo carpiato, doppio salto mortale con avvitamento, non sarebbe impresa facile per nessuno. E non poteva esserlo neanche per Elly, vittima del sarcasmo metonimico di Salvatore Merlo. Però, i suoi, dove erano e dove sono?! Spingerla in così malo modo nelle fauci di Conte, attaccare il rimorchio del Pd alla motrice dei Cinquestelle pensando così di rubargli voti! Per molto meno, al tempo che fu, i notabili democristiani ti avrebbero rispedito in qualche scuola di partito o collocato come sagrestano un po’ sempliciotto in qualche parrocchia.
Il mazziere Dario Franceschini lo descrivono ansioso di riprendere il mazzo di carte per mischiarle di nuovo. Ma chi taglia il mazzo? Chi dice Bonaccini, dice di un riformismo solido, di quello che non si lascia imbrigliare da quelle fumisterie di città, che le Ztl ce le ha, a Bologna e non solo, ma lui le attraversa per andare in ufficio perché poi si lascia scarrozzare per la via Padana per guardare negli occhi tutti i sindaci, gli assessori, i cooperatori e insomma tutto quel pulviscolo di umanità che con il sudore ci bagna pure la piadina tra una festa e l’altra.
Elly e Giorgia hanno orizzonti diversi, ci mancherebbe. Però qualcosa in comune ce l’hanno: Meloni alla sua destra, Schlein alla sua sinistra, devono vedersela con quegli estremisti radicali che maneggiano con disinvoltura la stessa sintassi apocalittica. Salvini e Conte non sopportano neppure la parola Unione, figurarsi Unione europea. Salvini e Conte non hanno alcun risentimento verso Putin, ne hanno invece per quel rompiballe di Volodymyr Zelenski che una volta aggredito pretenderebbe perfino di difendersi! L’uno tira da destra, l’altro da sinistra. Con una differenza impietosa: Meloni gioca con Salvini come il gatto con il topo, pronta a cannibalizzarlo un po’ alle regionali e un po’ di più alle europee. Dall’altro lato a suonare il flauto è Conte ed Elly lo segue. Come nelle favole: c’era una volta un grande partito riformista, voleva esserlo a tal punto da non lasciare nessuno spazio agli altri…