La riduzione dei casi di custodia cautelare, l’abrogazione della legge Severino, l’obbligo della separazione della carriera per magistrati e pubblici ministeri sono solo alcuni dei punti previsti nella consultazione popolare. Ecco le domande che saranno sottoposte agli italiani durante il voto
Il prossimo 12 giugno il popolo italiano è chiamato alle urne per decidere, in un referendum di tipo abrogativo, alcune importanti questioni in merito all’ordinamento giuridico. Si vota per eliminare leggi e riforme, sotto proposta della Lega e dei Radicali. I seggi sono aperti dalle 7 alle 23 e affinché sia valida la consultazione deve raggiungere il quorum, con la maggioranza degli aventi diritto al voto che si reca alle urne.
Primo quesito: rimozione delle misure cautelari
La domanda riguarda direttamente la custodia cautelare, ovvero quando la libertà dell’imputato viene limitata prima che un processo sia effettivamente iniziato. Tale misura deve essere motivata dalle autorità giudiziarie, per scongiurare la possibilità che l’imputato fugga, che possa compiere un reato di simile o diversa specie o che vi sia un inquinamento delle prove.
Benché presentato riguardante solo la custodia cautelare, il quesito riguarda anche le altre forme cautelari, sia coercitive – come gli arresti domiciliari – che interdittive – quale il divieto di esercizio di una professione.
Col referendum si chiede di eliminare la custodia cautelare sostanziata dal pericolo che l’indagato possa reiterare il reato di cui è accusato.
A favore di questo proposito, c’è l’idea che la pratica del carcere preventivo sia ormai abusata e che vi sia una violazione del principio di presunta innocenza. Chi è favore del “no”, invece, sostiene che sarebbe un rischio maggiore non applicare nessuna misura cautelativa, soprattutto nei casi di accuse per reati gravi.
Secondo quesito: abrogazione della legge Severino
Ad oggi chi è condannato in via definitiva per reati gravi, con più di due anni di reclusione, non può presentarsi a elezioni politiche, assumere cariche di governo. Se la sentenza arriva quando l’imputato ricopre già un ruolo pubblico, la sua mansione può facilmente essere sollevata. In un ente locale, invece, la sospensione dell’incarico può scattare subito dopo la sentenza di primo grado, non definitiva.
L’incandidabilità delle persone colpose di reato è sancita dal decreto legislativo n. 235/12, conosciuto anche come “legge Severino”, dal nome del ministro della Giustizia del governo Monti che l’ha promossa, Paola Severino.
Adottando la misura referendaria, l’interdizione dalle cariche pubbliche non è automatica, ma lasciata alla decisione del giudice che emette la sentenza.
Sullo schieramento del “sì” poggiano coloro che sostengono che tale legge penalizzi in particolar modo gli enti locali, senza il bisogno di arrivare al verdetto ultimo. Chi è a favore del “no” punta sul fatto che l’abrogazione della legge Severino riguardi tutte le cariche pubbliche, anche i parlamentari, non solo gli enti locali.
Terzo quesito: separazione delle carriere per i magistrati
Attualmente in Italia i magistrati possono passare nel corso della loro vita professionale dalla funzione giudicante, che emette le sentenze, a quella requirente del pubblico ministero, che si occupa dello svolgimento delle indagini. Questo passaggio non è totalmente libero, è anzi sottoposto a forti limitazioni, per un massimo di quattro volte nell’arco dell’intera carriera.
Se nel referendum vincesse il “sì”, ogni magistrato a inizio carriera dovrà decidere se specializzarsi nel ruolo di giudice o di pubblico ministero, senza mai cambiare indirizzo. Le ragioni di chi è a favore di questo cambiamento risiedono nel fatto che la possibilità di un cambio di carriera metterebbe in crisi il principio di imparzialità dei giudici.
Per contro, la fazione del “no” sostiene che con tale riforma non si otterrebbe alcun vantaggio proficuo, dal momento in cui formazione, concorso e organi di governo fra giudici e pubblici ministeri sono in comune.
La separazione delle carriere per i magistrati è oggetto della riforma della giustizia voluta dal ministro Marta Cartabia. Se la legge dovesse essere approvata dal Parlamento prima del 12 giugno, questo quesito – e i due successivi – sarà eliminato dalle schede di consultazione del referendum.
Quarto quesito: la valutazione dei magistrati
L’operato dei magistrati è visionato dai Consigli Giudiziari, organi del Consiglio superiore di magistratura. All’interno di tali Consigli il voto può essere espresso solo dai magistrati, sebbene all’interno di essi facciano parte anche avvocati e professori universitari, chiamati “membri laici”.
Se vincesse il “sì”, anche questi ultimi potranno votare. A favore di questa misura si schiera chi sostiene che la valutazione dei magistrati solamente da parte di altri magistrati renda poco trasparente il giudizio.
Lo schieramento del “no” ribatte dicendo che l’avvocato ha, per definizione, un ruolo di controparte del magistrato. Passando la riforma, ci si ritroverebbe quindi in un conflitto di interessi tale da non garantire l’obiettività di valutazione.
Anche questo quesito fa parte della triade che, all’approvazione della riforma Cartabia, sarà eliminato dalle consultazioni referendarie.
Quinto quesito: riforma del Consiglio superiore della magistratura
Il CSM è l’organo di governo della magistratura. Per candidarsi al suo interno, fin dal 2002, ogni magistrato deve presentare da 25 a 50 firme di suoi colleghi disposti a sostenerlo.
Se vincesse il “sì”, l’obbligo di raccolta firme sarebbe abrogato e basterà al candidato presentare la propria proposta. Si tornerebbe, quindi, all’ordinamento del 1958.
Chi è pro sostiene che la raccolta firme non premia in alcun modo il merito ma, anzi, creerebbe delle correnti politiche basate su accordi. Risponde la fazione del “no” con la precisazione che non basta eliminare la presentazione di nomi a supporto della candidatura per eliminare gli schieramenti all’interno del Consiglio.
Anche questo quesito, infine, fa parte del gruppo che potrebbe essere rimosso con l’eventuale passaggio in Parlamento della riforma Cartabia.