Il comizio conclusivo alla festa di Atreju non ha sorpreso. Era un comizio, appunto, e Giorgia Meloni ha usato i toni e gli argomenti propri di un leader politico, smettendo per un’ora abbondante la veste del premier. Sarebbe stato oltremodo difficile per lei conciliare i due ruoli divisi da una distanza ragguardevole quanto ad argomenti, toni e accenti. Sul palco hai come ospite Santiago Abascal e non puoi certo permetterti toni carezzevoli verso l’Unione europea o il Patto di Stabilità. Tralasciando l’intermezzo imbarazzante di Elon Musk, padre di una nidiata di figli nati in provetta o per gestazione per altri, il resto è andato esattamente come doveva andare. Con una variante imprevista: gli attacchi a Chiara Ferragni e Roberto Saviano.
Meloni ha scelto due icone del web per menare qualche fendente alla sinistra radicale. Schlein e Conte sono stati appena sfiorati, per non dire ignorati, mentre i giudizi più taglienti sono stati riservati a due protagonisti indiscussi dei social. A significare l’importanza che Giorgia Meloni attribuisce alla “metarealtà”, convinta a ragione che attraverso il web passi il vero controllo degli umori e delle emozioni degli elettori. La scelta di Ferragni e Saviano come bersagli per meglio colpire gli avversari politici non è stata casuale, ma meditata e, a cose fatte, azzeccata.
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Come ogni medaglia, anche questa ha il suo rovescio. Viene da chiedersi se e in che misura la trasformazione della premier in influencer produrrà un qualche vantaggio in termini di consenso elettorale. I comizi, si sa, sono fatti per galvanizzare e trasmettere entusiasmo alla platea dei tuoi sostenitori, e per assestare qualche colpo basso ai tuoi avveconti. Meloni si è scelta gli aavversari fuori dalla politica, costringendo gli avversari politici a mettersi in fila dietro Ferragni e Saviano.
Lo spettacolo, va detto, non è stato dei più esaltanti. Quando deve incrociare la sciabola sul terreno polemico, Meloni non si fa pregare. Il carattere combattivo, la sua indole pugnace l’hanno portata dove vediamo. I conti, quelli veri e risolutivi, si fanno sempre e ancora con la realtà le cui dimensioni vanno oltre i confini domestici. La realtà è quella europea e il suo volto è quello del Meccanismo europeo di stabilità, da ratificare in Parlamento, e del Patto di stabilità da definire a Bruxelles.
Di rinvio in rinvio, il Mes ha finito per assumere l’inamovibilità di un tabù e questo è senz’altro un errore di sottovalutazione politica. È vero che sarebbe stato complicato smentire dall’oggi al domani le parole d’ordine della campagna elettorale, e il No al Mes era la più frequente. Aver allungato il brodo, sapendo che al traguardo è comunque atteso un sì, ha finito per complicare ancora di più la svolta politica.
Non bastasse il tira-e-molla con l’Europa, Meloni sa di prepararsi a un confronto parlamentare in cui i suoi alleati si presenteranno con posizioni divaricanti: la Lega, a meno di clamorose giravolte, ha già preannunciato il voto negativo in Parlamento. Tajani, al contrario, ha confermato il sì di Forza Italia. Si troverà una via d’uscita (i parlamentari leghisti usciranno dall’Aula?) ma rimane in ogni caso la ferita della maggioranza.
Il Mes ratificato grazie ai voti delle opposizioni, centriste e non solo, non sarebbe un buon viatico per la campagna elettorale europea. Si vota, è vero, con il sistema proporzionale e dunque ogni partito correrà per sé e contro gli altri, alleati o avversari che siano. Ma l’immagine che si proietta all’esterno sarebbe di una maggioranza sfilacciata e divisa su una questione di cruciale importanza.
È pur vero che da queste difficoltà, al momento solo ipotizzabili, potranno trarne qualche vantaggio le opposizioni, almeno quelle radicali. Quando era premier Giuseppe Conte aveva autorizzato la firma del trattato, contro il quale è oggi schierato inflessibilmente il M5S: una posizione opposta e speculare a quella di Fratelli d’Italia, contraria ieri e obtorto collo favorevole oggi. In questa scena dominata da ondate di trasformismo (trasformisti non sono soltanto coloro che cambiano partito o gruppo, ma anche coloro che cambiano idee come si cambiano i calzini) non è difficile immaginare con quale agilità potrà muoversi un personaggio come Matteo Renzi.
Specialista, come lui stesso si è definito, in liquidazione e costruzione di maggioranze e governi, il manipolo di voti di cui dispone, distinti e separati dal fratello-coltello Carlo Calenda, potrebbero essere decisivi nell’approvazione del Mes, Salvini permettendo.
È uno slalom quello che Giorgia Meloni dovrà affrontare da qui al voto europeo di giugno. Tutto sta a vedere se fra i paletti stretti della politica avrà la stessa agilità di Sofia Goggia sulle piste.
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