“Quod non est in actis non est in mundo“. Così il ministro della giustizia Carlo Nordio in apertura alla presentazione del libro sul genocidio armeno “Non ti scordar di me” di Vittorio Robiati Bendaud, avvenuta questa mattina alla Sala del refettorio di palazzo San Macuto della Camera dei deputati. A dispetto del numero esorbitante delle morti – che dovrebbe aggirarsi attorno al milione -, il Medz yeghern, il “grande crimine” consumato ai danni della popolazione armena all’inizio del secolo scorso rimane fra le pagine meno indagate e conosciute della storia.
“Esistono pochissimi documenti, soprattutto visivi, di quanto è accaduto“, ha sottolineato infatti Nordio, parlando di un vero e proprio “catalogo buio di omissioni“, che rischia di cancellare completamente il ricordo delle vittime. L’obiettivo, allora, è custodire la memoria, intraprendere un difficile compito di ricostruzione affidato alle generazioni presenti e future per restituire al mondo quanto accaduto. Un’ esigenza, questa, che s’intreccia indissolubilmente con un impegno volto a far sì che quanto subito dal popolo armeno non si verifichi ancora.
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Raccontare un genocidio
Cosa significa, oggi, raccontare un genocidio? Ma soprattutto, che tipo di sguardo sul presente ci invita ad assumere l’impegno a rinnovare questa memoria storica? La questione è pregnante soprattutto perché, come ricordato da Nordio stesso, “purtroppo l’opera di sterminare popoli diversi c’è ancora, lo sappiamo. Questo va affrontato – ha proseguito il ministro – con una solida difesa militare, ma anche con la consapevolezza di quello che è accaduto negli anni passati e che speriamo non riaccada più“.
Sulla stessa scia l’intervento dell’onorevole Chiara Gribaudo, che ha sottolineato: “Noi siamo la memoria che coltiviamo: coltivarla è indice di civiltà. Il negazionismo si annida in troppi conflitti, anche in quelli contemporanei”. Inevitabile allora rivolgere il pensiero alla Palestina, che la deputata del Pd decide di menzionare pur richiamandosi alle parole di Liliana Segre che, com’è noto, esclude senza dubbio l’idea che a Gaza si possa parlare di genocidio.
Ricordare per capire il presente. Ma per Bendaud e Mieli oggi “nessun genocidio”
Molto più categorica e priva di ambiguità invece la posizione dell’autore, Vittorio Robiati Bendaud. Il filosofo e coordinatore del tribunale Rabbinico del Centro-Nord Italia, sollecitato sul tema del negazionismo e della memoria, ha esordito accostando esplicitamente la questione del ricordo della Shoah alla situazione attuale dello Stato ebraico: “Appartengo a un popolo che sa cos’è la memoria, perché l’ha subita e deve cercare di sopravvivere. Anche e soprattutto oggi Israele“.
Affermazioni, queste, che non lasciano spazio all’eventualità che il popolo palestinese stia affrontando oggi una condizione simile a quella degli armeni o degli ebrei nel XX secolo. Non solo, ma in questa prospettiva le azioni di Israele, che ha da poco annunciato la prossima occupazione totale di Gaza e lo sfollamento dei civili, vengono considerate una legittima strategia di sopravvivenza. Lo Stato ebraico, ha detto Robiati Bendaud, “è in pericolo” e non ammetterlo è “l’ultima forma di negazionismo” della Shoah.
Anche Paolo Mieli, autore della prefazione al testo presentato alla Camera, si è espresso in modo netto sulla questione: “Oggi la parola genocidio viene confusa: cose che non sono genocidio vengono definite tali”. E ancora, ha aggiunto il giornalista, “dobbiamo abituarci al fatto che possono essere fatte cose terribili, che condanniamo, che non sono genocidio. Chi parla di genocidio compie manipolazioni che hanno conseguenze pesanti“.
Negazionismo occulto ed ethos del genocidio
Proprio il tema del negazionismo è stato al centro degli interventi successivi: chi nega quanto accaduto, è stato ripetuto da Mieli e da diversi altri relatori, si rende complice. Nel suo testo Robiati Bendaud approfondisce la questione parlando anche di forme di negazionismo occulto, più insidioso, che rimuove le cause profonde delle violenze. L’odio che porta al genocidio ha radici profonde: “Non ci fu nessuna banalità nel male fatto dai nazisti, non sono d’accordo con Hannah Arendt“, ha detto l’autore, sottolineando come ci sia piuttosto un vero e proprio ethos del genocidio.
Eppure, questo ethos non è stato a lungo riconosciuto. Paolo Mieli ha ricordato infatti il percorso tortuoso che portò a riconoscere che l’eccidio degli armeni fosse in realtà un vero e proprio genocidio. Ciò accadde, spiega, anche “a causa della diffidenza di Israele e di molti ebrei“, che opponevano resistenza all’idea che la vicenda armena “potesse essere messa sullo stesso piano” della Shoah.
Forse, l’impegno affinché quanto accaduto non si ripeta dovrebbe partire proprio da qui: evitando che la cura della propria memoria storica si atrofizzi, evitando che il dolore delle ferite ancora aperte ci renda incapaci di riconoscere la multiformità dell’ethos genocidario.
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