Si accende il dibattito politico in vista del voto del 12 giugno: ultimo round per la campagna elettorale e per il referendum sulla giustizia
Le consultazioni comunali del prossimo weekend aprono la strada ai temi caldi della campagna elettorale per le amministrative del 2023.
Ultimo round di campagna elettorale prima delle votazioni del 12 giugno, che vedranno oltre 900 Comuni italiani alle urne per eleggere le amministrazioni locali. I leader dei grandi partiti scendono tutti in piazza con comizi e dichiarazioni centrate sui temi caldi del momento e che, presumibilmente, sono il banco di prova dell’appuntamento per le elezioni dell’anno prossimo.
Non solo il referendum, quindi, si litiga anche sulla guerra, sulla questione del salario minimo e sui numerosi bonus elargiti negli ultimi tempi.
Le polemiche sul referendum, Salvini: «Censura e bavaglio»
Non si placano le discussioni sulle consultazioni referendarie del prossimo fine settimana. I cinque quesiti in tema di giustizia continuano ad animare gli schieramenti politici. Matteo Salvini spera in «un intervento del presidente Draghi e del presidente Mattarella che dicano qualcosa, perché rubare democrazia, referendum e possibilità di cambiamento non è degno di un Paese come l’Italia».
L’accusa è quella di non aver dato la possibilità ai media di fare un’informazione limpida sui temi proposti alle urne, rischiando il non raggiungimento del quorum necessario affinché la votazione di tipo abrogativo sia valida: «Censura e bavaglio», denuncia, infatti, la Lega, uno dei partiti che hanno proposto il referendum.
L’Ucraina e la guerra
Tema calco di confronto è la posizione assunta dai diversi partiti nei confronti del conflitto russo-ucraino. Se Giuseppe Conte con i 5 Stelle chiedono uno stop netto all’escalation militare, auspicando «che Draghi sia protagonista in Europa: non per proporre la pace, ma per imporla», diversa è la posizione del Partito Democratico, che si rispecchia nelle parole del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini: «Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina, cosi’ come abbiamo fatto, insieme agli altri Paesi europei e alla Comunità internazionale in questi 100 giorni di conflitto».
Reduce dal proposito di volare a Mosca per intraprendere un percorso di diplomazia con i vertici del Cremlino, ma stroncato a più voci, Matteo Salvini nei suoi appuntamenti elettorali parla anche del conflitto in Ucraina e stronca tutti i partiti a lui antagonisti: «Adesso Letta, Renzi e Di Maio si arrabbiano se lavoro per la pace ma se aspettiamo loro tra due anni siamo ancora qua a parlare di conflitto».
Fra Pnrr, termovalorizzatori e questioni civili
E mentre il governo sta facendo di tutto per evitare uno scostamento di bilancio per scongiurare sbandate sulle tappe del Pnrr, al vaglio in Parlamento c’è il delicato decreto legge Aiuti, che il Movimento 5 Stelle intende modificare per bloccare il termovalorizzatore a Roma.
In più continuano le frizioni sui temi etici e sociali, come la bocciatura del Ddl Zan, il possibile referendum sull’eutanasia o sulla legalizzazione delle droghe leggere, ma anche l’ormai necessaria legge sul doppio cognome dopo la sentenza di poche settimane fa della Cassazione.
Lavoro e salario minimo
Ultimo, ma non meno importante, tema elettorale è la questione del salario minimo, con la proposta di legge del Movimento 5 Stelle.
Attacca Conte: «Se per alcuni politici è normale che si prendano paghe da fame, di 3-4 euro lordi l’ora, allora diciamo che la politica del Movimento 5 Stelle non è questa», che si trova sullo stesso lato della barricata di Pd e Leu.
Per Italia Viva la fissazione di uno stipendio di base per i lavoratori ha due lati. Come suggerisce Luigi Marattin «fissarlo per legge a livello nazionale ma per il resto rendere predominante la contrattazione territoriale, oppure lasciare il tema alla contrattazione nazionale, come ora, ma con una legge sulla rappresentanza contro i contratti “pirata”».
Nel centrodestra si preferisce dare più ampio sospiro alle imprese, grazie a una revisione delle regole di contrattazione e del reddito di cittadinanza.
«Il nostro obiettivo è la flat tax al 15% per le imprese, perché poi i salari li pagano le imprese, e se pagano uno sproposito di tasse non riescono a pagare lo stipendio a nessuno», chiarisce Salvini, mentre il ministro Giorgetti preferisce disboscare la «pletora di bonus» che si sono avvicendati negli ultimi mesi.