L’addio di Borghi al Pd. Ora Renzi ha più parlamentari di Calenda

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Il leader di Italia Viva Matteo Renzi ora può “fare a meno” di Azione, e di Calenda. Tramonta così l’ipotesi di un gruppo unico, ma il segnale di Enrico Borghi che abbandona il Pd potrebbe influenzare altri

Ormai è chiaro. Il gruppo unico non si farà, (almeno per ora).

Nel giorno in cui Enrico Borghi dice addio al Pd per atterrare in Italia VivaMatteo Renzi precisa che il gruppo autonomo di Italia Viva al Senato non verrà costituito. Si continua a lavorare per aggregare i riformisti. Tuttavia però, l’arrivo di Borghi, rappresenta un segnale politico importante. Non soltanto per i dem, che perdono un esponente di spicco, quanto per Carlo Calenda che si vede superare numericamente in parlamento da Italia Viva. E “ne arriveranno altri” nel partito, assicura Renzi.

Lo scopo è “aggregare il campo riformista”

“Una pistola carica messa sul tavolo del Terzo Polo”, la definisce un esponente del Partito Democratico. “Non abbiamo rotto sulla federazione, non abbiamo rotto sul partito unico, non rompiamo sui gruppi. Noi abbiamo voglia di collaborare con tutti coloro che hanno a cuore la prospettiva riformista“, spiega l’ex premier durante una conferenza stampa al senato. Poco prima è la plenipotenziaria di Italia Viva alla Camera, Maria Elena Boschi a spiegare che sì, i numeri dicono che il gruppo al Senato si potrebbe fare, ma che Italia Viva intende continuare nel progetto per aggregare il campo riformista.

Matteo Renzi
Matteo Renzi

Il malcontento nel Pd e l’esempio di Borghi

Intanto, nel Pd, in molti a chiedersi cosa rappresenti l’addio di Borghi. In tanti, nel partito, hanno segnalato un certo malessere dei cattolici. L’ala liberal e riformista non ha mai nascosto il disappunto per il metodo di Elly Schlein, sulla composizione degli assetti del partito. Ma Enrico Borghi non viene da Base Riformista, ma fa parte di quei neoulivisti che hanno “strappato” con l’ex mozione Bonaccini, proprio per evitare “conte interne e fratture” durante le delicate ore della trattativa sui capigruppo e sulla segreteria.

Da qui deriva la reazione del senatore Marco Meloni, tra i primi del Pd a commentare l’addio di Borghi: “Un gesto di gravità inaudita, con il quale Borghi viene meno all’impegno preso con gli elettori” lo definisce l’ex coordinatore della segreteria Letta rimarcando che “quel che afferma Borghi sulla segreteria del Pd somiglia in modo inquietante alla caricatura che ne fanno gli ambienti di destra e non ha alcuna corrispondenza con la realtà dei fatti”, mentre il responsabile Esteri del Pd, Giuseppe Provenzano, spiega: “Mi spiace che Borghi utilizzi le argomentazioni della destra”.

A scandagliare i parlamentari dem emerge un misto di sorpresa e inquietudine per la scelta di Borghi. Il senatore è stato per anni esponente di spicco del Pd. Con Enrico Letta aveva ricoperto il ruolo di responsabile Sicurezza del partito. Nei mesi passati aveva duramente stigmatizzato l’ostilità di Renzi nei confronti del Pd.

“Renzi e D’Alema sembrano convergere su un obiettivo comune: quello di dividere in due e distruggere il Pd. Non glielo permetteremo”, diceva in una intervista del 5 ottobre scorso. Oggi, pero’, sottolinea: “Le prime scelte di Schlein rappresentano una mutazione genetica: da partito riformista a un partito massimalista di sinistra. Io sono convinto che ci sia invece un elettorato moderato che ha bisogno di una casa”. Con l’addio del senatore, i dem restano con un uomo in meno in Commissione Esteri e, soprattutto, al Copasir.

Borghi con Renzi e il gruppo Iv al Senato

Il Comitato per l’ordine e la sicurezza della Repubblica è guidato da Lorenzo Guerini, altro esponente di spicco del Pd. E a sondare fonti parlamentari, il malessere di Borghi sarebbe cominciato proprio quando il partito ha deciso di non sostenerne fino in fondo la corsa alla presidenza. Poi, con l’arrivo di Elly Schlein al Nazareno, le cose sarebbero precipitate, fino alla decisione di passare alle file renziane. Fra i dem si solleva la questione dell’equilibrio di forze dentro gli organi parlamentari in cui siede Borghi, Copasir innanzitutto.

Il capogruppo dem Francesco Boccia si dice “deluso” dal suo ex vicino di scranno al senato e lo invita a dimettersi dal Copasir “perché in organismi come quello ci si sta in rappresentanza di un partito e non a titolo personale”. Ma nel Pd c’è anche la consapevolezza che, regolamento alla mano, nessuno può impedire al senatore di mantenere i suoi incarichi. “Per il Copasir non cambia niente. La legge dice che i membri devono essere cinque di maggioranza e cinque di opposizione e, da questo punto di vista, è tutto in regola”, spiega il presidente del Comitato, Lorenzo Guerini.

Renzi ora può “fare a meno” di Calenda, e di Azione

Semmai è il dato politico a suscitare qualche elemento di riflessione. Al rammarico e al disappunto si aggiunge il sospetto per la scelta di passare a Italia Viva. Matteo Renzi, infatti, con Borghi raggiunge quota sei senatori. Quanto basta per formare un gruppo al Senato senza i quattro di Calenda. “Non lo farà”, sono pronti a scommettere esponenti del Pd: “Ma il passaggio di Borghi a Italia Viva è la più classica delle pistole sul tavolo con Calenda”. Insomma: con il passaggio di Borghi a Italia Viva Renzi lancerebbe un messaggio a Calenda che dice: “Posso fare a meno di Azione”.

L’altro messaggio è al Pd, naturalmente. L’ex presidente del Consiglio offre la dimostrazione di come possa “scalare” i gruppi dem, anche sottraendo a Schlein parlamentari di peso. “Borghi non è l’ultimo, perché altre persone hanno voglia di prendere lo stesso coraggio a due mani. Da parte sua, la leader dem non sembra preoccuparsi troppo di questi “giochi di palazzo”, come vengono definiti da un esponente a lei vicino.

Lo dimostrerebbe anche il fatto che, nelle ore in cui le comunicazioni interne ai gruppi si infittiscono e il caso Borghi viene sollevato anche nella riunione del gruppo al Senato, Elly Schlein dirama una nota in cui parla di tutt’altro. Il 30 aprile Schlein sarà a Palermo, per commemorare Pio La Torre e per partecipare al corteo a Portella della Ginestra, il primo maggio. Avanti con l’agenda del partito, dunque. Guerini però avverte: “Non bisogna drammatizzare l’uscita di Borghi, ma neanche va derubricata o liquidata con un’alzata di spalle”.

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