Il sindacato rosso si ritiene da sempre legittimato a dettare legge sui comportamenti da tenere nel giorno della Festa del lavoro: i precedenti sono tanti
L’anatema di Landini sul consiglio dei ministri convocato il primo maggio per varare alcune fondamentali misure sul lavoro è solo l’ultimo atto di una battaglia ideologica che la Cgil ha sempre condotto arrivando a toccare vette surreali di vetero-sindacalismo. La replica della premier è stata tranciante quanto logica: se lavorare il primo maggio è diseducativo, perché costringere centinaia di operai, tecnici e operatori tv a faticare dietro le quinte nell’allestimento del concertone propagandistico? Senza dimenticare tutti coloro che il primo maggio lavorano da sempre per garantire i servizi essenziali, a partire dalla sanità. Si tratta dunque di una polemica strumentale, che ha tentato di trasformare un gesto di attenzione del governo verso il mondo del lavoro in una provocazione. Il sindacato rosso si ritiene da sempre legittimato a dettare legge sui comportamenti da tenere nel giorno della Festa del lavoro. I precedenti sono tanti, e vale la pena ricordarne alcuni, come la battaglia contro i negozi aperti, un’anomalia tutta italiana che andò in scena perfino di fronte all’evento unico e straordinario della beatificazione di papa Wojtyla, quando Roma fu invasa da due milioni di pellegrini bisognosi di bere, di mangiare, di assistenza e magari di fare un po’ di shopping…
E ricordiamo il caso di Firenze ai tempi di Renzi, in cui fu organizzato per la prima volta uno sciopero ad personam contro un sindaco di centrosinistra, o quello di Milano, dove la libertà di apertura festiva decisa dal sindaco Moratti fu duramente contestata, mentre questo non accadde a Genova, a Torino e a Venezia, che pure allora erano tutte città governate da amministrazioni di sinistra. Eppure le motivazioni della Moratti erano difficilmente confutabili: “Favorire e tutelare il lavoro, la libertà d’impresa, l’occupazione e lo sviluppo per contribuire alla vitalità delle nostre città al servizio di chi le visita”. Nulla da fare: per la Cgil quello del primo maggio deve restare un rito intoccabile da agitare come bandiera politica e Susanna Camusso, che era la segretaria del sindacato rosso e ora senatrice Dem insorse con una lettera durissima invitando la sinistra “a non farsi travolgere dall’ideologia del mercato che ci ha portato alla crisi”, perché “lo shopping non è un servizio di pubblica utilità”. Una posizione sconsolante, che ancora ritiene il mercato e lo shopping come disvalori sociali, come se il rilancio dei consumi non fosse ossigeno per la ripresa economica. Nessuno, peraltro, ha mai obbligato gli esercenti ad aprire bar, negozi e supermercati per la Festa del lavoro. Si era solo deliberato che chi voleva, di fronte all’afflusso straordinario previsto dagli operatori turistici, avrebbe potuto alzare la saracinesca, chiamando a lavorare gli interinali, ossia i precari. Una polemica dal sapore antico, insomma, in cui si fronteggiano pragmatismo e ideologia, visioni settarie e interesse generale, che in questo particolare caso è rappresentato dal turismo, un asset fondamentale dell’economia italiana, visto che rappresenta quasi il 15 per cento del Pil. La domanda conseguente è: un partito come il Pd, che resta il primo terminale politico della Cgil e con l’approdo di Schlein alla segreteria ha scelto chiaramente una linea antiriformista, come potrà ricandidarsi al governo del Paese?
La polemica di queste ore è in questo senso illuminante: il governo stanzia più di 5 miliardi per l’esordio dell’Assegno di inclusione, che con l’addio al Reddito di cittadinanza arriverà dal 2024, taglia il cuneo fiscale che sale di altri quattro punti per il periodo da luglio a novembre di quest’anno, raggiungendo i 6 punti per i redditi fino a 35mila euro e i 7 punti fino a 25 mila. Ma prevede anche più fringe benefit, ovvero i bonus aziendali non tassati (beni e servizi compresi i rimborsi per le bollette). E il Pd cosa fa? Si allinea pedissequamente alla linea della Cgil e con Boccia dichiara: “Ci aspettavamo dal governo Meloni la difesa dei diritti, la sicurezza sul lavoro, la riduzione del cuneo contributivo e invece ci ritroviamo un’autentica provocazione, un consiglio dei ministri convocato il primo maggio, un decreto legge vuoto, nessuna certezza e il taglio del reddito di cittadinanza: daremo battaglia in Parlamento e nelle piazze…”. Le piazze, il luogo prediletto dalla Schlein per fare politica.