L’attacco è imminente, parliamo di un centinaio di droni accompagnati da decine di missili. L’attacco dell’Iran contro Israele “è una minaccia reale e probabile”, lo scandisce a caratteri cubitali John Kirby, il portavoce per il consigliere della Sicurezza Nazionale alla Casa Bianca. Secondo ‘intelligence, i tempi sono strettissimi e la portata è enorme.
“Siamo più che consapevoli che la volontà dell’Iran è quella di colpire a breve. Non fatelo! Siamo decisi a difendere il nostro alleato”, ribadisce nella notte il presidente Joe Biden. Il capo del comando centrale statunitense Michael Erik Kurilla atterra a in Israele per coordinare l’eventuale risposta, mentre alcune compagnie aeree scelgono di non volare verso Teheran per almeno una settimana. I governi invitano i cittadini ad evitare viaggi non necessari nella regione.
“Chi si trova già in Israele resti nei dintorni delle metropoli” — affermano le ambasciate — i servizi segreti occidentali speculano che la rappresaglia degli ayatollah per l’uccisione il primo aprile di un generale a Damasco punti alle basi militari e risparmi i centri abitati. Perché dove cadrebbero i missili e i velivoli pilotati a distanza definirà la risposta di Tsahal: il sistema Iron Dome ha dimostrato di poter esser bucato da lanci multipli, i missili iraniani impiegano 12 minuti a raggiungere Israele.
Teheran potrebbe rinunciare a un bombardare direttamente dal suo territorio scegliendo di usare Hezbollah in Libano, che ieri ha rivendicato 40 di razzi sui villaggi della Galilea, o le milizie sciite dispiegate in Iraq e Siria.
Il rimbalzo di proclami, che prosegue da giorni, servirebbe anche a tentare di ridurre l’estensione del conflitto. Le regole di ingaggio in quello che diventerebbe il primo scontro aperto tra le due nazioni sono chiare, non c’è l’ambiguità della “guerra ombra” condotta in questi anni. Gli Usa mandano segnali evidenti, avverte il regime a Teheran che risponde consigliando di restarne fuori. Soprattutto Washington manda rinforzi per proteggere le truppe nella regione e sposta la portaerei Eisenhower su per il Mar Rosso verso Israele. “Le forze statunitensi in Medio Oriente di venteranno un bersaglio, se prendono parte al conflitto” minacciano le Guardie della Rivoluzione, secondo la ricostruzione della rivista digitale Axios.
Ali Khamenei ha ripetuto che “il nemico malvagio va punito” e ha lasciato capire di reputare il bombardamento dell’edificio diplomatico a Damasco come una violazione sul suolo iraniano, bisogna rispondere allo stesso livello. Netanyahu ha riunito ieri al tramonto il consiglio di sicurezza, lo stato maggiore annuncia di aver definito i “piani offensivi e difensivi”. Gli ufficiali che coordinano il Fronte interno hanno mobilitato gli ospedali in tutta la nazione e verificato che il personale sia pronto all’emergenza. Anche se Daniel Hagari, il portavoce delle forze armate, spiega in tempo per i telegiornali della sera che “le indicazioni per i cittadini non sono per ora cambiate, certo invitiamo tutti a stare all’allerta”.
Dall’inizio dell’offensiva su Gaza ordinata in risposta ai massacri del 7 ottobre, gli israeliani hanno cercato di evitare che il conflitto con Hamas si allargasse ad altri fronti. Gli scambi con l’Hezbollah libanese sono stati quotidiani ma per ora limitati al nord: la fascia sul confine è stata dichiarata zona militare, i villaggi evacuati.
La vendetta per il raid in Siria che ha eliminato Mohammad Reza Zahedi con 6 consiglieri potrebbe prendere più tempo o dispiegarsi in fasi diverse: in questo scenario la Guida Suprema darebbe il via libera agli ingegneri per superare la soglia nella produzione di uranio arricchito necessaria ad armare una bomba, una minaccia considerata da Israele, e soprattutto dal premier Netanyahu, esistenziale. in caso di un attacco diretto dall’Iran, i centri nucleari sarebbero i primi obiettivi.