Una donna torinese di 55 anni ha scelto di porre fine alla propria vita attraverso il suicidio assistito presso una clinica in Svizzera. Se la vicenda si limitasse a questo dato, la situazione risulterebbe già estremamente triste, ma ciò che davvero sconcerta della tragedia è la dinamica insolita in cui è avvenuta.
La donna soffriva di depressione da diverso tempo, a seguito della morte del figlio adolescente a causa di una malattia degenerativa. Nonostante fosse seguita da uno psichiatra, ha comunque deciso di andare fino in fondo nel suo proposito di suicidio, senza neanche far sapere della sua decisione al marito, che forse avrebbe tentato di farle cambiare idea.
La dinamica a seguito del suicidio assistito
L’avvocato della donna ha ricevuto un messaggio anonimo un’ora prima del tragico evento, contenente dettagli sulle sue ultime volontà. Tra le richieste c’erano quella di staccare le utenze, donare i vestiti in beneficenza e affidare l’urna contenente le ceneri del figlio al marito. Tuttavia, l’uomo, residente in Canada per motivi di lavoro, è venuto a conoscenza del gesto estremo della moglie solo dopo il suo decesso.
La clinica svizzera ha comunicato la notizia attraverso una mail, ma purtroppo, a causa di un errore, la comunicazione è finita nella cartella spam del marito, che l’ha scoperta solo diverse ore dopo. L’uomo ha poi ricevuto anche l’urna contenente le ceneri della moglie, insieme al suo certificato di morte.
Il coniuge, intervistato da Repubblica, ha rivelato che già nel mese di luglio 2023 lui e la cognata avevano scoperto che la donna stava considerando il suicidio assistito in Svizzera, sempre a causa della terribile depressione di cui soffriva. Nonostante fossero riusciti inizialmente a convincerla a desistere, non hanno mai ricevuto risposta dall’associazione a cui si erano rivolti per chiedere supporto.
Punti di vista bioetici sul suicidio della donna
Il consigliere comunale di Torino, Silvio Viale, ha commentato la situazione dichiarando che, nonostante il dispiacere che prova per la famiglia della donna, sono comunque state rispettate le sue ultime volontà, soprattutto alla luce del fatto che se ne conoscevano le intenzioni già a partire dall’estate scorsa.
Questo caso, tuttavia, apre un dibattito su questioni etiche e morali legate al suicidio assistito, sollevando interrogativi sulla necessità di una maggiore comunicazione e supporto per coloro che si trovano in situazioni simili. È infatti piuttosto curioso che in una decisione così importante per la vita di una persona, non venga presa in considerazione l’importanza del supporto emotivo dei familiari.
La donna, in cura per la depressione, sembrava essere in salute, avere una vita stabile con casa, lavoro e affetti. Tuttavia, il lutto per la perdita del figlio l’aveva trascinata in una spirale di disperazione da cui sarebbe stato molto difficile se non impossibile uscire totalmente.
Eppure, la mancanza di una comunicazione aperta con la famiglia sulla propria vita e il desiderio di porvi fine, ha anche privato la donna dell’opportunità di un confronto, un conforto, magari di possibili alternative alla sua decisione estrema, o quanto meno, la possibilità di non dover affrontare da sola un momento tanto complesso quanto delicato.