Infermieri italiani tra i meno pagati d’Europa: «Sotto stress, ne mancano 70 mila»

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In occasione della Giornata Internazionale i dati pubblicati dal gruppo Oasi: «In totale 450 mila unità, il 78 per cento sono donne» 

In Italia mancano all’appello settantamila infermieri. E quelli che lavorano sono tra i meno pagati in Europa. E’ il dato che emerge in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere, celebrata giovedì 12 maggio. Una figura, quella dell’infermiere, che durante la pandemia ha assunto un ruolo significativo anche nell’immaginario collettivo, oltre che nelle corsie degli ospedali. 

I numeri in Italia 

Secondo l’Observatory on healthcare organizations and policies in Italy (Oasi) di Cergas Bocconi, oggi mancano all’appello 70 mila infermieri. Il numero degli infermieri in Italia è di 456.069, ma soltanto 395 mila sono attivi, con una maggioranza assoluta di donne, che raggiunge il 78%. Secondo il Pnrr sono necessari circa 50 mila infermieri in più, ma la delibera del Consiglio dei Ministri del 21 aprile scorso, che definisce i modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale, prevede che si passi dall’attuale copertura del 4-6% per gli over 65 almeno al 10%. Percentuali che, secondo Oasi, si traducono cosi’ in un fabbisogno reale di circa 70 mila unita’. Studi internazionali (come Rn4Cast, pubblicato su The Lancet), ipotizzano che si riuscisse ad avere un rapporto di un infermiere ogni sei pazienti e nello staff fosse presente, almeno il 60% di infermieri laureati, potrebbero essere evitate 3.500 morti l’anno. A ogni aumento del 10% di personale infermieristico laureato corrisponde una diminuzione del 7% di mortalità. Per questo è indispensabile anche un intervento sulla formazione. Le carenze di personale e la necessità di fare ricorso al lavoro straordinario portano a un elevato tasso di fungibilità della professione, impiegata in tutte le situazioni in cui l’assistenza scarseggia, senza tenere in alcun conto il livello di formazione raggiunta dalla maggior parte di loro, attraverso il conseguimento della laurea triennale o magistrale. 

Serve una riforma strutturale

«Durante la pandemia – ha commentato Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale ordini e professioni infermieristiche – sono morti 90 infermieri, in questo numero rientrano anche sei suicidi. E’ necessario che, alla luce di quanto è successo durante la pandemia e per impedire che in futuro situazioni emergenziali possano coglierci impreparati, il governo intervenga sia sui numeri, visto che secondo le stime mancano 70 mila unità, sia sulla formazione e il riconoscimento professionale. E’ quindi auspicabile l’avvio di un processo di riforma dei percorsi accademici, con l’obiettivo di sviluppare e valorizzare le specificità della professione infermieristica». 

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