Halili, residente a Lanzo Torinese, era già noto alle autorità italiane per i suoi precedenti legami con l’Isis. Arrestato due volte in passato, nel 2015 e nel 2018, Halili era stato condannato nel 2019 con una sentenza divenuta definitiva nel 2022: la condanna riguardava la sua adesione all’Isis e il suo ruolo di ideologo della Jihad in Italia. Nonostante la revoca della cittadinanza italiana e la prevista espulsione, Halili è stato poi scarcerato a fine luglio 2023 a causa di intoppi burocratici.
Halili: dal supporto all’Isis allo stato di indigenza
Durante la sua detenzione a Torino e Sassari, e dopo il rilascio, Halili ha continuato a professare il suo credo fondamentalista. Gli investigatori riferiscono che avrebbe dichiarato apertamente la sua appartenenza all’Isis e manifestato propositi violenti. Nel febbraio di quest’anno, l’imam di Torino, Gabriele Lungo, aveva segnalato che Halili viveva in strada, in condizioni di grave disagio sia materiale che psicologico, dopo essere stato abbandonato dalla famiglia.
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In aprile, Luca Guglielmini, ambasciatore per l’Italia del Radicalisation Awareness Network (RAN) della Commissione Europea, aveva suggerito di inserire Halili in una comunità di recupero, avvertendo che la sua emarginazione lo avrebbe reso ancora più pericoloso.
La lunghissima indagine su Halili
L’indagine che ha portato all’arresto di Halili risale alla fine del 2015. All’epoca, ventenne, aveva patteggiato a Brescia due anni di reclusione con la condizionale per istigazione a delinquere con finalità di terrorismo, per aver postato documenti di esaltazione dell’Isis online. Dopo questo episodio, Halili aveva intensificato la sua attività di propaganda e proselitismo su diverse piattaforme multimediali, producendo materiale inneggiante alla Jihad.
Nel 2018, durante una perquisizione nella sua abitazione a Ciriè, la Digos aveva sequestrato istruzioni su come utilizzare armi bianche e preparare un camion bomba. Elmahdi Halili è anche l’autore del primo testo in italiano dell’Isis, “Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare“, un documento di 64 pagine che, tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, ha attirato l’attenzione dei servizi segreti italiani. Nel documento, Halili tentava di presentare lo Stato Islamico sotto una luce favorevole, elogiando la vita nei territori sotto il controllo dell’Isis e descrivendo un’utopica “sicurezza reale” grazie all’applicazione della Sharia.
Il ritorno in carcere di Halili rappresenta un importante passo nella lotta contro il terrorismo in Italia, sottolineando l’importanza di un monitoraggio continuo e di una risposta pronta alle minacce terroristiche. Eppure, la vicenda solleva anche diverse domande sulle tempistiche, decisamente bizzarre, che lo stato italiano adotta per fermare crimini tanto odiosi, facendo passare quasi un decennio prima di assicurare alla giustizia un sostenitore conclamato di una delle organizzazioni terroristiche islamiche più pericolose di sempre.
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