Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si conferma una figura divisiva. Al termine dei 100 giorni del suo secondo mandato, il popolo americano si spacca a metà, tra i sostenitori della Casa Bianca, che definiscono questi giorni come i “più grandiosi della storia“, e gli oppositori, che invece li ritengono i “peggiori degli ultimi settant’anni“.
Tutti però concordano su un punto: non c’è mai stato un giorno uguale all’altro e le mosse del Tycoon risultano imprevedibili. Dalla campagna elettorale prima e dalla firma dei 137 ordini esecutivi poi, era chiaro che Trump puntasse a risolvere, con una politica aggressiva tre questioni principali: l’immigrazione, la guerra in Ucraina e l’economia americana.
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Il sostegno dei repubblicani
Nonostante si riscontri un livello di gradimento ai minimi, il partito repubblicano si definisce coeso. Daron Shaw, professore di politica, presidente dell’Università del Texas e membro del Fox News Decision Team, ha dichiarato: “Il partito si è completamente consolidato attorno a lui“, nonostante gli iniziali problemi con alcuni membri.
Per il momento, resta forte il sostegno degli elettori che si dichiarano repubblicani: l’88%, secondo Nbc. Invece, secondo il sondaggio di Fox News, il tasso di approvazione complessivo di Trump è vicino a quello che aveva a 100 giorni dal suo primo mandato, nel 2017, quando si attestava al 45%.
Eppure, se si analizzano gli indici di gradimento dei presidenti dal secondo dopoguerra (1952) ad oggi, solo un altro è stato il più basso: la presidenza Trump del 2017, tutti gli altri toccavano almeno il 50%. Proponendo un confronto con i suoi predecessori, John F. Kennedy e Dwight Eisenhower superavano il 70%; Carter, Reagan e Obama erano sopra il 60%, mentre Bush padre e figlio, Clinton e Biden erano oltre il 50%.
La guerra in Ucraina
Un primo fattore da valutare nei primi 100 giorni di Trump è la mancata promessa sulla guerra russo-ucraina. Il conflitto, infatti, non si è concluso “nelle prime 24 ore” del mandato, come dichiarato dal Tycoon nel corso della sua campagna elettorale. Moltissimi elettori hanno scelto Trump proprio per la sua posizione antitetica rispetto all’amministrazione Biden riguardo alla guerra a Kiev. Ma di fatto, dopo essersi “fatto prendere in giro” da Putin, che ha violato il cessate il fuoco temporaneo, Trump ha minacciato di uscire dai negoziati.
Eppure un merito possiamo riconoscerlo: aver riaperto la diplomazia con la Russia. L’incontro con Volodymyr Zelensky in Vaticano, in occasione dei funerali del Papa, è stato un momento di storico riavvicinamento e definito da entrambe le parti come “molto produttivo“. Eppure l’incognita rimane sempre quella del posizionamento di Mosca.
L’immigrazione
Invece, la stretta contro l’immigrazione è allo stesso tempo un punto di forza e di debolezza per Donald Trump. Rimanendo sul tema della sicurezza del confine, molti sondaggi toccano il 50% dei consensi. Ma se si scende a fondo, parlando della posizione sulle deportazioni, un sondaggio Nbc conta il 59% contrario.
Ma perché? La maggior parte della popolazione avrebbe iniziato a guardare con sospetto le mosse di Trump dopo i video delle deportazioni di massa e dopo l’arresto a New York di 98 persone durante un sit in per chiedere il rilascio di Mahmoud Khalil, lo studente palestinese della Columbia, leader delle proteste contro la guerra a Gaza.
Infatti, secondo l’Economist e YouGov, il 45% degli americani sostiene che le mosse dell’amministrazione sull’immigrazione siano andate “troppo in là“.
L’economia e i dazi
Uno dei punti principali toccati durante la corsa alla presidenza è stata l’economia. A oggi, però, solo il 43% ne approva la gestione economica. Due terzi pensano che Trump non sta facendo abbastanza per abbassare i prezzi e trovano preoccupante l’energia che dedica all’imposizione di dazi.
Inoltre, quasi 7 americani su 10 ritengono che anche il partito democratico sia lontano dalle questioni che preoccupano i cittadini.
Anche per il mercato azionario statunitense, i primi 100 giorni di Trump sono sono i peggiori dagli anni ’70, ossia dal mandato di Richard Nixon. L’S&P 500 ha registrato un calo del 7,9% dall’inizio del mandato fino al 25 aprile. Un calo simile risultava, secondo secondo dati di CFRA Research, durante la presidenza Nixon nel 1973, con un crollo del 9,9%.
Con l’annuncio del Libaration Day, ossia l’entrata in vigore dei dazi reciproci, l’S&P 500 ha avuto un crollo del 10% in soli due giorni. Per questo la situazione si preannuncia tragica. L’aumento dell’inflazione, il blocco del commercio con la Cina colpirà soprattutto i consumatori più poveri, portando al rischio di una recessione.
Il pensiero degli elettori a riguardo è ben visibile dalle statistiche di New York Times/Siena: circa la metà degli elettori pensa che la situazione economica con Trump sia peggiorata, mentre solo il 21% ritiene sia migliorata. Secondo Cnbc, circa il 57% degli americani pensa che il Paese vada verso una recessione o la stia già vivendo.
Le politiche economiche, sociali, di sicurezza e culturali del secondo mandato sono incerte e allo stesso modo si sentono i suoi elettori. Per ora tutto è in gioco e nulla è certo. Sarà forse la vera deadline la fine dei secondi “100 giorni” della presidenza Trump?
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