La seconda tranche dei negoziati sul programma nucleare di Teheran, intavolati da Usa e Iran, hanno avuto inizio oggi a Roma alle 10:30 e dopo circa quattro ore sono volti al termine.
Sembra di capire che l’incontro odierno sia stato utile al fine di raggiungere un accordo tra i due Paesi. Secondo l’agenzia semi-ufficiale Tasnim che cita fonti informate, “il clima prevalente nei negoziati tra Iran e Stati Uniti è stato costruttivo“. Come era stato previsto dall’agenzia di stampa iraniana Isna riferendo della conclusione della seconda tanche, il prossimo round di colloqui che si sarebbe tenuto nei prossimi giorni, è stato confermata dalla notizia del Ministro degli Esteri, Baghai, specificando che l’incontro avrà luogo sabato prossimo in Oman, senza però la città.
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Al contempo, il Ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, intervenendo in Tv di Stato, ha informato che si è trattato di “un buon incontro“, durante cui è stata affrontata solo la questione inerente al nucleare. “Questa volta – spiega Araghchi – siamo riusciti a raggiungere una migliore intesa su una serie di principi e obiettivi“.
In un clima quindi in cui le trattative sembrano stiano procedendo “con attenzione, calma e cautela“, il Ministro Araghchi ha specificato che “i negoziati tecnici e con esperti inizieranno in Oman mercoledì, e nel terzo round di colloqui, che si terrà in Oman sabato prossimo, discuteremo l’esito della riunione degli esperti per verificare se si è vicini ai principi di un accordo“.
Netanyahu: “Impedirò all’Iran di ottenere armi nucleari”
Il percorso diplomatico, però, sembra riscontrare spinosi nemici negli Stati Uniti che è osteggiato da Israele, il più importante alleato degli Usa in Medio Oriente. Nell’esprimere la sua opposizione a un accordo, il premier Benjamin Netanyahu ha affermato senza mezzi termini che l’unica opzione accettabile è il “modello libico”, che riguarderebbe lo smantellamento totale del programma nucleare degli ayatollah. Deluso dalla pace ancora non realizzate né a Gaza, né in Ucraina, Trump sembra intenzionato a portare a casa risultati concreti con l’Iran.
L’orizzonte per una possibile firma dovrebbe essere ottobre, quando potrebbe scattare il meccanismo del cosiddetto ‘snapback‘, ovvero la reintroduzione di sanzioni, previsto dal Jcpoa, di cui ancora sono parte Russia, Cina, Germania, Francia, Regno Unito e Ue.
“Mi impegno a impedire all’Iran di ottenere armi nucleari: non faremo marcia indietro di un millimetro da questa promessa. Senza di noi, l’Iran avrebbe avuto armi nucleari dieci anni fa“. Questa il commento a caldo dello stesso premier israeliano in un discorso registrato questa sera.
La conferma che il meeting si sarebbe tenuto a Roma, è giunta dopo un iter travagliato, fatto di conferme e ripensamenti, che alla fine hanno permesso alla capitale italiana di essere il teatro di questo importante incontro. Il ministro Tajani, una volta giunta la richiesta ufficiale da parte dei due Paesi, aveva esordito soddisfatto, definendo l’Italia “il Paese della pace“. La Farnesina ha invece reso noto che oggi il ministro e il suo omologo iraniano si sono incontrati a Roma.
La negoziazione, come più volte sottolineato, non è stata diretta ma mediata dal ministro degli Esteri dell’Oman. Per l’Iran ha preso parte al tavolo il ministro degli Esteri e capo negoziatore, Abbas Araghchi, arrivato in Italia nella notte insieme alla sua delegazione, e per gli Usa l’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff.
In contemporanea sul suolo italiano, in questo sabato di vigilia della Pasqua, sono presenti alcuni degli attori più importanti dello scenario geopolitico attuale. Oltre alle tre parti necessarie a raggiungere un accordo tra Usa e Iran, è infatti a Roma anche il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, giunto per trascorrere il periodo di Pasqua nella Capitale insieme alla sua famiglia. La città, dunque, resta blindata, per evitare che si verifichino contrasti o che la sicurezza degli ospiti possa essere messa in pericolo.
Iran: “Serve chiarezza sulle volontà degli Stati Uniti”
Ali Shamkhani, alto consigliere della Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha voluto mettere in chiaro sui suoi canali social quali sono le intenzioni di Teheran nei confronti di questi colloqui. “L’Iran è qui per raggiungere un accordo equilibrato, non per arrendersi“, ha sostenuto, aggiungendo che la delegazione iraniana attualmente impegnata nei negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti a Roma ha “piena autorità per raggiungere un accordo globale”.
Nello specifico, lo Stato islamico vorrebbe raggiungere un’intesa sulla revoca delle sanzioni e non sul modello “Libia-Emirati arabi“, ovvero lo smantellamento completo del programma nucleare, che è stato invocato da Israele. Proprio in questo senso, Shamkhani ha confermato che non vi sarà alcun accordo con gli Stati Uniti finché non cesseranno le minacce e Israele non sarà frenato.
Il portavoce del ministero degli Esteri, Esmeil Baquei, ha invece confermato che quello attuale “non è un percorso agevole“, aggiungendo però che l’Iran ha intenzione di procedere senza tentennamenti per raggiungere gli obiettivi che si è preposta.
Nucleare, Iran: “Seri dubbi sulle intenzioni degli Usa”
I colloqui odierni, comunque, potrebbero dimostrarsi più complessi di quanto immaginato. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, ha infatti sottolineato come il suo Paese sia consapevole di quanto quello intrapreso non sia un percorso semplice, così come sa benissimo di “aver dimostrato il suo impegno nei confronti della diplomazia come mezzo civile per risolvere i problemi, nel pieno rispetto degli alti interessi della Nazione“.
Quello attuale è quindi il momento di “procedere con gli occhi aperti“, cioè tenendo a mente le esperienze passate e affrontando quelle attuali nella consapevolezza di voler salvaguardare l’indipendenza del Paese. Il colloquio odierno segue di una settimana il primo svoltosi in Oman e definito da entrambe le parti come “costruttivo“. Gli incontri attuali fanno seguito ad un periodo in cui le due Nazioni hanno abbandonato i rapporti e le relazioni diplomatiche.
Ora, gli Stati Uniti, che nel 2018 si erano ritirati dal programma nucleare iraniano in cambio delle sanzioni imposte all’Iran, vogliono nuovamente influenzare il Paese, spingendolo a rinunciare ai suoi piani sul nucleare. “Penso che l’Iran voglia parlare“, ha sostenuto lo scorso giovedì Donald Trump, sostenendo di voler attendere prima di ricorrere all’azione militare, nella consapevolezza che potrebbe essere possibile raggiungere un accordo.
Molto più scettico il ministro degli Esteri iraniano, che ha espresso ieri “seri dubbi” sulle intenzioni degli Stati Uniti, aggiungendo che Washington avrebbe presentato “proposte irrealistiche” sui programmi nucleari. L’Iran ha comunque deciso di prendere parte ai colloqui, con l’auspicio di raggiungere con gli Usa “un accordo equo, vincolante e sostenibile“. Rispetto al primo incontro, però, oggi la situazione sembra ben più tesa. Solo alcuni giorni fa, il New York Times ha rivelato che il presidente americano avrebbe bloccato un attacco congiunto con Israele contro le basi nucleari iraniane.
Una scelta che da un lato potrebbe convincere l’Iran a procedere con i colloqui in maniera distesa, ma che dall’altra al contempo potrebbe rendere ancora più precario l’equilibrio dei colloqui. Lo scorso mercoledì, infatti, il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, ha sostenuto che Teheran potrebbe essere piuttosto vicina alla realizzazione di armi nucleari.
Una consapevolezza che potrebbe spingere gli Usa a rendere i colloqui ancora più stringenti e a fare pressioni all’Iran al fine di evitare che il loro programma nucleare abbia un esito positivo e potenzialmente catastrofico. Intanto, secondo Reuters, Israele non ha escluso un attacco limitato agli impianti nucleari iraniani nei prossimi mesi, nonostante al momento gli Usa non siano pronti a sostenere questa mossa.
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