Filiberto Zaratti di Alleanza Verdi e Sinistra e Stefano Vaccari del Pd hanno deciso di dimettersi da membri del Giurì d’Onore, a soli due giorni di distanza dal termine ultimo per la consegna della relazione finale. La Commissione speciale parlamentare era stata chiamata ad esprimersi sul contrasto tra Giorgia Meloni e Giuseppe Conte sulla ratifica del Mes avvenuta nel 2020. I due membri dell’opposizione hanno deciso di lasciare le loro cariche perché convinti che tra i membri fossero “prevalse interpretazioni e motivazioni politiche, e venute meno terzietà e imparzialità“.
Era stato proprio il leader pentastellato a chiedere l’intervento del Giurì allo scopo di dirimere la questione e ristabilire la verità sull’accaduto. Dopo le dimissioni degli unici due membri dell’opposizione presenti nella Commissione, Giuseppe Conte ha chiesto a gran voce l’intervento del Presidente della Camera Lorenzo Fontana.
Il peggio sembrava passato. Giorgio Mulè di Forza Italia, presidente della Commissione, alla fine di ogni incontro del Giurì d’Onore usciva soddisfatto e parlava di tranquillità e armonia nelle discussioni. Martedì sera è cambiato tutto: “Non so cosa sia successo con il calare della notte” ha dichiarato confuso il forzista ai cronisti.
Dopo la richiesta di Giuseppe Conte di sciogliere la Commissione per evitare che Giorgia Meloni venisse favorita nel giudizio, oggi è arrivata la sentenza del Presidente della Camera Lorenzo Fontana: il Giurì d’Onore deve considerarsi sciolto. A dare l’annuncio ufficiale è stata la vicepresidente di turno della Camera Anna Ascani.
Le accuse dell’opposizione al Giurì d’Onore
Le ragioni della decisione di lasciare la Commissione speciale parlamentare sono state consegnate dai due dimissionari proprio a Lorenzo Fontana, Presidente della Camera. “La terzietà del Giurì è venuta meno, vogliono avvalorare la versione accusatoria della Presidente del Consiglio Meloni” ha scritto Vaccari, mentre Zaratti ha sostenuto la presenza di “interpretazioni di parte nella ricostruzione documentale“.
Insomma, secondo l’accusa dell’opposizione, non tutti i membri del Giurì d’Onore avrebbero veramente a cuore la corretta riuscita dell’indagine, ma preferirebbero sostenere e difendere la posizione di Meloni. Al centro delle insinuazioni, quindi, vi sarebbero lo stesso Giorgio Mulè di Forza Italia, Fabrizio Cecchetti della Lega e Alessandro Colucci di Noi Moderati, tutti intenzionati a boicottare la decisione del Giurì.
Il clima di armonia e concordia descritto da Mulè si è quindi trasformato in uno di tensione e agitazione, che ha investito senza preavviso il Presidente della Commissione. “Sono sorpreso e amareggiato dalla loro decisione, di cui abbiamo saputo solo durante i lavori in corso – ha confessato il forzista – Mai fin dalla prima seduta del 10 gennaio e per le successive sei, Vaccari e Zaratti avevano manifestato lagnanze o sollevato proteste rispetto all’organizzazione e all’evoluzione dei lavori“.
Le dimissioni sono state un fulmine a ciel sereno e sono giunte nel momento in cui la Commissione aveva terminato il “90% della relazione“, come ha dichiarato il Presidente della Commissione speciale. A spiegare l’improvviso testa-coda dei due membri dell’opposizione sarebbe proprio il contenuto del restante 10% dei lavori che, secondo le loro testimonianze, si stava dirigendo a favore della premier, tralasciando i riscontri oggettivi.
L’allarme di Conte: “Il Giurì d’Onore va sciolto“
Giuseppe Conte, a seguito delle dimissioni dei due membri, ha deciso di rivolgersi nuovamente a Lorenzo Fontana. A poco meno di due mesi da quando aveva richiesto al Presidente della Camera la formazione di un Giurì d’Onore, che ristabilisse la verità a seguito delle accuse di Giorgia Meloni, ora il leader pentastellato pretende che questo venga smantellato. I requisiti di imparzialità sono venuti a mancare e la Commissione, ormai composta da soli membri della maggioranza, non può esprimere un giudizio.
L’accusa di Giorgia Meloni, che ha sventolato in Aula un fax che avrebbe testimoniato la non validità della ratifica del Mes da parte del governo Conte nel 2020, non verrebbe giudicata in maniera parziale, rischiando di ottenere favoritismi dai membri della maggioranza presenti in commissione. La premier, lo scorso 13 dicembre, aveva insinuato che la firma di Conte al trattato del Mes non fosse valida poiché effettuata a seguito delle sue dimissioni da premier.