Dalla crescita dei flussi migratori nasce una domanda di fondo che non riguarda solo l’Italia, ma tutte le grandi democrazie europee: dobbiamo limitarci a contenerli o attuare politiche che escano dalla logica emergenziale?
C’è un articolo di Lucetta Scaraffia, pubblicato stamani su La Stampa, che andrebbe ritagliato e messo sulle bacheche del variegato mondo di sinistra e cattolico che non vede alternative all’immigrazione incontrollata. Pur prendendo, ovviamente e giustamente le distanze dalla infelice sortita del ministro Lollobrigida sulla “sostituzione etnica”, la scrittrice approfondisce infatti l’argomento guardando la luna invece di fermarsi al dito che la indica. Il ragionamento è questo: se continua il calo delle nascite fra gli italiani, i “nativi” rischiano progressivamente di diventare una minoranza nel loro stesso Paese. Nulla di male, risponderanno i buonisti, perché il melting-pot ha dimostrato di dare anche ottimi risultati. Ma questa volta c’è un “ma” che sarebbe sbagliato ignorare, ossia che le ondate migratorie attuali sono composte al 90% da islamici, e cosa ne sarà della nostra cultura, dei nostri valori e delle nostre leggi quando la loro presenza si rafforzerà e pretenderanno di essere giudicati con la sharia, o di praticare la poligamia? E non c’è forse una contraddizione in termini nella sinistra schierata per tutti i diritti LGBTQ+ e che allo stesso tempo vuol favorire l’immigrazione islamica, con la prospettiva di una società futura in cui l’omosessualità verrà criminalizzata, come accade oggi nei Paesi islamici? La conclusione è, dunque, che pur cadendo in un imperdonabile svarione, Lollobrigida ha posto un problema reale, che Oriana Fallaci aveva già posto nella sua trilogia venti anni fa.
Dalla crescita dei flussi migratori nasce una domanda di fondo che non riguarda solo l’Italia, ma tutte le grandi democrazie europee: dobbiamo solo limitarci a contenerli o attuare politiche che escano dalla logica emergenziale? E a quale criterio bisogna dare la precedenza: quello della convenienza o quello dell’accoglienza? La convenienza sta nel fatto che abbiamo bisogno di contrastare l’invecchiamento della popolazione, abbiamo bisogno di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori. A queste ragioni, ispirate alla convenienza, se ne aggiungono altre di ordine umanitario, ma uno Stato ha il dovere di porsi un altro problema: quello della sostenibilità dei numeri. Quanti immigrati si possono accogliere? E di quali immigrati abbiamo bisogno? Con quali caratteristiche, con quali competenze? Ed è meglio favorire l’immigrazione di religione cristiana rispetto a quella islamica, visto che è più facilmente integrabile?
L’esperienza europea insegna che non è automatica – con la concessione della cittadinanza – l’integrazione di ragazzi che vivono in famiglie e in comunità che non hanno alcuna intenzione di integrarsi. Non vanno dimenticate, in questo senso, le derive sociali di altri Paesi europei come la Gran Bretagna, la Francia e l’Olanda, in cui si sono creati veri e propri ghetti identitari in cui, nei casi estremi, la sharia ha sostituito le leggi dello Stato. Proprio l’Olanda, la patria di tutte le libertà, il laboratorio più avanzato del multiculturalismo, ha conosciuto dall’inizio di questo secolo una profonda crisi, il cui apice fu l’assassinio del regista Theo Van Gogh ad Amsterdam per mano di un giovane immigrato, e ora lì tutti concordano che il multiculturalismo è una scatola vuota di valori, incapace di cementare un’identità condivisa.
La gestione esclusivamente burocratica delle ultime ondate migratorie è stata l’ultimo di una serie di errori storici di un’Europa che ha tolto le radici cristiane dalla sua Costituzione in nome di un relativismo culturale e religioso che ha prodotto la logica distorta del politicamente corretto, finendo così per mettere a rischio la sua stessa identità. L’immigrazione islamica ha così portato alla nascita di contro-società chiuse, che si nutrono di un’identità sostitutiva diffusa tra i giovani immigrati di seconda e terza generazione, e questo ha rappresentato il brodo di coltura ideale per la loro strumentalizzazione da parte del fondamentalismo islamico. Si sono spalancate le porte all’islamismo militante nella speranza vana di favorire un multiculturalismo pacifico, ma sta accadendo il contrario, e si ha paura perfino di affermare che una civiltà in cui c’è la separazione tra Stato e Chiesa, tra Stato e società, c’è la parità tra uomo e donna, viene rispettata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e in cui un precetto non diventa legge e un peccato non diventa reato, è migliore rispetto a quella in cui regna la sharia. Invece la Corte europea per i diritti dell’uomo, con una sentenza al limite dell’incredibile, ha sancito il diritto alla sharia per le comunità musulmane insediate in Europa, segnando un altro devastante passo indietro rispetto alla difesa dei nostri valori.
Per governare l’immigrazione è necessario saper coniugare accoglienza e legalità, perché difendere i diritti degli immigrati senza citarne mai i doveri significa imboccare la strada del dialogo a senso unico, che non è più dialogo ma semplicemente una resa: senza una convinta adesione ai nostri valori, insomma, non può esserci cittadinanza, che va acquisita solo al termine di un reale percorso di integrazione, e non può mai trasformarsi in una scorciatoia per diventare italiani. Ed è illusorio pensare che basti lo ius scholae per far diventare italiani i giovani maghrebini delle nostre periferie: il rischio di radicalizzazione di queste masse di ragazzi non si scongiura con il buonismo, ma con il controllo di legalità e con la chiusura delle moschee fai-da-te trasformate in madrasse da imam che predicano l’odio contro l’Occidente.