25 Aprile: per la destra gli esami non finiranno mai

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Il metronomo della Festa della Liberazione scandisce ancora le divisioni ideologiche e, ancora una volta, è stato il presidente Mattarella a pronunciare parole unificanti

Per la destra italiana gli esami non finiranno mai: questo 25 Aprile lo ha plasticamente confermato, perché la lettera della premier al Corriere della sera, colma di frasi di inequivocabile condanna al fascismo, non sono bastate a placare le polemiche, anzi. Meloni ha ricordato che ormai da anni i partiti che rappresentano la destra in Parlamento “hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo”, formulando l’auspicio che l’anniversario della Liberazione possa rappresentare “un momento di ritrovata concordia nazionale” che metta al centro la “celebrazione della nostra ritrovata libertà”. E poi: “Il frutto fondamentale del 25 aprile è stato, ed è ancora oggi, l’affermazione dei valori democratici “che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana”. Ma l’appello alla “ritrovata concordia nazionale” è caduto nel vuoto, ed eccezione di qualche voce isolata come quella di Calenda, che ha accolto con favore le parole della premier e ha invitato la sinistra ad esaltare il ruolo della Resistenza non solo in relazione ai fatti del ’45, ma anche a quanto sta accadendo oggi in Ucraina. La sinistra, però, non ci sente, e continua a cavillare sulle parole: come il Pd non ha votato la mozione di maggioranza al Senato perché c’era scritto “contro il fascismo” e non “antifascismo”, alla lettera della Meloni si imputa di aver parlato di “libertà” e non di “Liberazione”, da cui si deduce che la destra “deve ancora fare i conti con la propria storia e con le proprie radici”, e che questo in sostanza è un governo neofascista. Tesi, questa, sorprendentemente condivisa anche da un vecchio saggio della Repubblica come Rino Formica, che si allinea così alla teoria di Eco del “fascismo eterno”. E anche per il sindaco di Milano, Sala, la lettera al Corriere della Sera “non cambia e aggiunge nulla rispetto a quello che abbiamo sempre sentito dire”.

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, insomma. Perché l’antifascismo è ormai a tutti gli effetti un’arma politica che la sinistra non ha alcuna intenzione di riporre, e anzi si sente ogni anno legittimata a restare in cattedra per dispensare lezioni di democrazia, a maggior ragione oggi che al governo c’è il centrodestra a trazione meloniana. Ma siamo di fronte a una giuria palesemente faziosa, che per quante prove la destra fornisca della sua piena adesione ai valori della democrazia, è implacabilmente pronta a chiederne sempre delle nuove. Perché si parte dall’assunto che la destra sia irredimibile, e che quindi col governo Meloni si sia di fatto entrati in una fase politica in cui non c’è fascismo – e meno male – ma non c’è neppure antifascismo, e questo significherebbe che il corpo mistico dello Stato non è più sorretto dai suoi valori fondanti.

Ora, sull’antifascismo, che è innegabilmente un valore fondante della nostra Repubblica, bisogna essere chiari: la sinistra si considera democratica in quanto antifascista, invece bisognerebbe invertire l’ordine delle parole e dirsi antifascisti perché democratici, visto che non tutti gli antifascisti sono democratici, altrimenti tali dovrebbero essere considerati anche Stalin e Putin. E dunque, la democrazia è una categoria universale della politica, mentre l’antifascismo non lo è. Invece la narrazione della Resistenza, tramandata dall’egemonia culturale del Pci, ha teso a ridurla a uno scontro tra fascisti e comunisti, mentre lo scontro è stato e resta quello tra democrazia e totalitarismi: a combattere sulle montagne c’erano infatti anche partigiani democratici che erano insieme antifascisti e anticomunisti, perché antitotalitari. E’ questa verità che tanta parte della sinistra ancora non accetta: l’equiparazione tra fascismo e nazismo da una parte e comunismo dall’altra, come se tutti i totalitarismi non avessero insanguinato il Novecento con milioni di morti.

Settantotto anni dopo, insomma, il metronomo del 25 Aprile scandisce ancora le divisioni ideologiche, e ancora una volta è stato il presidente Mattarella a pronunciare parole unificanti: “La Resistenza – ha detto – fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale”. Patrioti, un termine caro alla destra.

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