Le guerre stringono in una morsa sempre più pressante l’Unione europea e in maniera più lieve anche gli Stati Uniti. Per ora nessun attacco frontale, nessuna bomba né attentato ma le parole a volte bruciano più delle azioni. Lo sanno bene il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e l’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell, da giorni nei mirini dell’Ue e della Russia a causa delle loro dichiarazioni sulla guerra russo-ucraina. Il veto a Kiev sull’utilizzo delle armi della Nato e dell’Ue in territorio russo sembra ormai superfluo e soprattutto ingiusto. “La priorità più alta è il forte sostegno all’Ucraina, che deve essere portato ad un nuovo livello” ha sostenuto il presidente francese Emmanuel Macron, allineato anche alle teorie di Scholz.
Un passo a favore dell’Ucraina che potrebbe però aumentare esponenzialmente il rischio di un’escalation del conflitto. Vladimir Putin non è rimasto a lungo in silenzio ed ha ricordato a tutti che una potenza come la Russia non teme un conflitto armato con la Nato. “I rappresentanti dei Paesi membri della Nato, in particolare in Europa, dovrebbero essere consapevoli di ciò con cui stanno giocando” ha sottolineato il Capo di Stato russo, aggiungendo: “I Paesi con un territorio piccolo e una popolazione densa” dovrebbero prestare particolare attenzione.
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L’Italia continua a nutrire dubbi sulla possibilità di permettere ai soldati ucraini di utilizzare armi europee sul territorio russo e probabilmente anche quei Paesi direttamente confinanti col gigante di Putin potrebbero ostacolare la proposta. Affinché questa ipotesi diventi realtà infatti è necessaria l’unanimità dell’Ue, che è tutt’altro che scontata. A pesare su questa situazione, inoltre, c’è il veto dell’ungherese Viktor Orban che continua a dichiararsi contrario ad inviare i 5 miliardi del Fondo di assistenza per l’Ucraina per il 2024, a cui si dovrebbero aggiungere 2,7 miliardi di euro derivanti dagli asset russi scongelati.
Su questo punto, però, Meloni, Tajani e Salvini non si sono esposti. Le europee sono troppo vicine e un alleato come Orban è fondamentale, soprattutto in vista della possibile elezione di Donald Trump nelle presidenziali statunitensi del prossimo novembre. L’Italia continua ad essere un Paese sotto scacco, troppo legata ad influenze esterne che ne limitano il potere decisionale, nell’ottica di alleanze sicure e potenti. A che costo?
Il ripensamento degli Usa
Il segretario di Stato statunitense Anthony Blinken ha confermato la decisione del presidente Joe Biden di approvare l’uso delle armi Usa in Russia su richiesta dell’Ucraina. Se inizialmente gli Usa si sono mostrati contrari alla rimozione del veto a Kiev, già nei giorni scorsi il Washington Post aveva rivelato i ripensamenti di Biden. Il presidente stava valutando a fondo la questione, eppure la Casa Bianca non aveva voluto smentire né confermare la notizia.
“La nostra posizione non è cambiata in questa fase. Non incoraggiamo né permettiamo l’uso delle armi fornite dagli Stati Uniti per colpire il suolo russo” aveva infatti dichiarato John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, a seguito delle parole di Emmanuel Macron e Olaf Scholz.
Oggi Biden torna sui suoi passi e decide di esporsi contro la Russia di Putin. Blinken ha poi aggiunto che la Nato sta lavorando per rafforzare la sua deterrenza e la difesa e che gli Usa assicureranno un ponte per l’adesione dell’Ucraina alla Nato. Gli Usa quindi si uniscono alla Germania e alla Francia che hanno già dichiarato la loro adesione alla scelta della rimozione del veto.
I dubbi dell’Italia sull’utilizzo delle armi Nato in Russia
Il governo italiano si è dichiarato immediatamente contrario alla possibilità dell’utilizzo delle armi, allo stesso tempo ribadendo il suo supporto alla causa di Kiev. Una linea moderata con cui Tajani e Meloni cercano di non fomentare troppo Matteo Salvini, leader della Lega, che ha fatto della sua contrarietà alla guerra una battaglia elettorale. “No ai soldati italiani a Kiev” e “no alle armi italiane sul territorio russo“, il vicepremier leghista è stato perentorio sull’argomento, tanto da arrivare a definire Josep Borrell “un altro di quei bombaroli” e le sue dichiarazioni “farneticanti“.
Salvini ha poi aggiunto: “Teoricamente dovrebbe rappresentare anche me e il popolo italiano ma non parla in mio nome, non parla in nome del popolo italiano“. Borrell però non è intenzionato a lasciar perdere l’argomento, tanto da sostenere che la rimozione delle restrizioni “è un’azione legittima ai sensi del diritto internazionale quando viene utilizzato in modo proporzionato, è anche chiaro che è una decisione che ogni singolo Stato membro deve prendere e assumersi la propria responsabilità nel farlo o meno“.
Il nodo dell’Ungheria di Orban
La rimozione delle restrizioni militari all’Ucraina è una questione che si lega strettamente anche al veto dell’Ungheria sull’invio di nuovi finanziamenti a Kiev. Orban non ha intenzione di cedere alle pressioni europee e per ora l’Italia non è intervenuta sulla questione. In bilico ci sono equilibri fondamentali sia in vista delle prossime elezioni europee sia delle presidenziali americane.
Sia i conservatori di Meloni sia Identità e Democrazia di Salvini vorrebbero il partito di Viktor Orban nella loro coalizione. Esporsi, quindi, su un tema così caldo e caro all’Ungheria non andrebbe a favore di nessuno dei due. L’Italia così rimane a metà, in una situazione contrastante: da un lato il sostegno all’Ucraina, dall’altro l’indifferenza nei confronti di un veto che andrebbe a minare il sostegno economico al Paese.
Per Giorgia Meloni, il sostegno degli Usa è fondamentale, soprattutto in un momento in cui negli ambienti di Trump la figura del premier italiano è vista da alcuni come un alleato considerevole e da altri come un soggetto da non prendere in considerazione. “Phoney Meloni“, così il Presidente del Consiglio è stato ribattezzato da Steve Bannon, l’ideologo del sovranismo molto vicino a Trump, a causa del repentino cambio delle sue visioni sull’Ue. Meloni “la falsa“, un epiteto da cui il premier vorrebbe scostarsi. Orban potrebbe quindi essere il vettore di avvicinamento al possibile nuovo presidente degli Usa e per questo per ora l’Italia non si esporrà sulla questione dei fondi a Kiev.
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