Il collega della reporter di Al Jazeera morta in Cisgiordania: «Ho sentito un colpo, poi il secondo ha colpito lei». Da inizio anno sono 26 gli operatori dell’informazione uccisi
Lutto nel mondo del giornalismo. Ha perso la vita Abu Aqleh, la giornalista che ha raccontato la Palestina negli ultimi vent’anni. Con lei arrivano a 26 gli operatori dell’informazione uccisi da gennaio
Si aggiunge un altro nome alla lista già cospicua dei giornalisti che sono morti durante l’esercizio della loro professione. A perdere la vita questa volta è Sheeren Abu Agleh, reporter e volto molto noto che lavorava per l’emittente televisiva araba Al- Jazeera. La giornalista è stata uccisa a Jenin, città nella Cisgiordania settentrionale, durante un attacco dell’esercito israeliano.
La ricostruzione
Secondo quanto riportato dal collega Ali Al-Samoudi, rimasto ferito dopo il colpo, l’esercito israeliano ha colpito i giornalisti in modo deliberato. Al-Samoud afferma: «Stavamo andando a seguire l’operazione dell’esercito israeliano quando hanno aperto il fuoco su di noi. Un proiettile mi ha colpito. Il secondo proiettile ha colpito Shireen». C’è un video in cui si vede un corpo a terra che dovrebbe essere quello della giornalista, visto che aveva con sé un giubbotto antiproiettile con su scritto “Press”. La redazione ha pubblicato l’ultimo messaggio ricevuto dalla giornalista all’ufficio di Ramallah che risale alle 6:13 (ora locale) di questa mattina: «Le forze di occupazione stanno assaltando Jenin e assediano una casa nel quartiere di Jabriyat. Mi sto recando lì, vi darò notizie non appena il quadro sarà chiaro». Purtroppo, ora Sheeren non potrà più raccontare quel che accade nel Medio Oriente.
Da gennaio 26 giornalisti hanno perso la vita
La vita spezzata della giornalista si aggiunge alla lista, purtroppo considerevole, dei professionisti dell’informazione che muoiono sul campo. Secondo Reporter senza frontiere (RSF) sono con lei già 26 i giornalisti uccisi da gennaio. Nell’elenco compaiono 4 donne e due collaboratori dei media in una dozzina di paesi. Fare il giornalista, soprattutto in alcuni paesi di guerra, significa rischiare di essere uccisi mentre si svolge il proprio lavoro.
I numeri nel mondo
Il Messico rappresenta la nazione in assoluto più pericolosa per esercitare la professione, infatti, tra giornalisti e operatori dei media ben 8 persone hanno perso la vita. Anche l’Ucraina, soprattutto in seguito allo scoppio della guerra lo scorso 24 febbraio, è diventato un luogo pericoloso per fare informazione. A perdere la vita, sono stati 7 tra giornalisti ed altri operatori. Nello Yemen, terreno di conflitti da oltre 7 anni, 2 hanno perso la vita tra febbraio e marzo. Stessa sorte per chi lavorava ad Haiti, Iran, Siria ed altri paesi. La situazione è allarmante. Inoltre, dal primo gennaio sono stati arrestati e imprigionati in 64 tra giornalisti e collaboratori dei media. Sale invece la percentuale di quelli che si trovano in detenzione arbitraria del 20%: al 31 dicembre scorso erano in 488, di cui 60 donne. Ad oggi fare il giornalista, soprattutto in alcuni paesi, significa anche non tornare più a casa. Abu Aqleh, che ci ha lasciato oggi, rappresenta un fenomeno purtroppo più ampio di professionisti dell’informazione che rischiano la vita ogni giorno.