Francesco Schiavone si pente dopo 26 anni di carcere: “L’ho fatto per i miei figli”

Il "Sandokan" del clan dei Casalesi ha deciso di parlare col Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, con cui chiarirà alcuni dettagli della storia del suo clan e probabilmente aprirà nuovi filoni di indagine. Rimane l'ipotesi di un pentimento dovuto alla volontà di avere uno sconto di pena

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Dopo 26 anni di carcere duro Francesco Schiavone, conosciuto come Sandokan all’interno del clan dei Casalesi, ha deciso di cedere e chiedere di poter parlare con il Procuratore Nazionale Antimafia Melillo. Schiavone vuole diventare un collaboratore di giustizia, per motivi non ancora ben chiari. C’è chi crede nel funzionamento del carcere duro, come il deputato Delmastro, e chi invece rimane più scettico e teme la volontà di scampare al carcere ostativo, come Roberto Saviano.

Giovanni Melillo sul Dossieraggio
Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia

Qualunque siano le motivazioni, Francesco Schiavone potrebbe rivelare dettagli inediti, e interi filoni ancora sconosciuti alle forze dell’ordine, sulla struttura, i partecipanti e le operazioni portate avanti dal clan dei Casalesi. Schiavone è stato ora trasferito dal carcere di Parma a quello de L’Aquila, dove si svolgeranno i colloqui con i procuratori. In un incontro in carcere con i suoi famigliari, Schiavone disse: “Se un giorno scriverò io un libro vedremo tutta la verità di quello che è stato“. Rimane da capire se quel giorno, all’età di 70 anni, per Sandokan è finalmente giunto o se ci troviamo di fronte all’ennesimo escamotage per sfuggire alla giustizia.

Il pentimento di Francesco Schiavone

Francesco Schiavone, ormai 70enne, avrebbe deciso di collaborare con la giustizia per i suoi figli. Gli stessi che erano presenti al momento del suo arresto e per i quali Schiavone è uscito dal suo bunker in Casal di Principe, chiedendo agli agenti di non sparare perché “ci sono le creature“. Francesco Schiavone dal giorno del suo arresto non è più uscito dal carcere, ma ora potrebbe aver iniziato a valutare l’ipotesi di uno sconto di pena in cambio di alcune informazioni sul clan di cui ha fatto parte sin da ragazzo.

La decisione di iniziare a collaborare con la giustizia è arrivata infatti a pochi mesi di distanza dalla scarcerazione di suo figlio, anche lui detenuto per associazione mafiosa. La famiglia di Francesco Schiavone, composta da una moglie e sette figli, si è divisa tra chi con la mafia non ha mai voluto avere niente a che fare e chi invece ha seguito le orme paterne e come lui è finito in carcere. La scelta di Schiavone, inoltre, segue quella dei due figli, Nicola e Walter, che per primi hanno iniziato a collaborare con i procuratori.

Anche Giuseppina Nappa, moglie di Sandokan e madre dei suoi sette figli, dopo la carcerazione ha consegnato alcune informazioni in mano agli inquirenti ed ha poi seguito i figli nel programma di protezione. Ora sembrerebbe arrivato il turno di Schiavone, il quale però avrebbe in mano ben più carte di quelle dei suoi parenti. Da scoprire se il 70enne deciderà di dichiarare il minimo indispensabile per liberarsi dall’ergastolo ostativo, o se veramente vorrà smantellare ciò che resta del clan dei Casalesi.

Le prime dichiarazioni di Sandokan

Sono stato un mafioso, non solo un camorrista“, si sarebbe descritto così Francesco Schiavone davanti ai magistrati nel colloquio che si è svolto nel carcere di Parma. Il Sandokan del clan dei Casalesi vuole parlare esclusivamente con il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e quest’ultimo è accorso insieme al sostituto Antonello Ardituro, per raccogliere le dichiarazioni di quello che potrebbe rivelarsi un super-testimone.

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Nicola Gratteri, procuratore di Napoli

La direzione delle indagini è stata assunta da Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, che ha deciso di prendere le redini del caso non appena venuto a sapere della volontà di Schiavone di collaborare. Intanto l’ergastolano è stato trasferito in un carcere de L’Aquila, con la motivazione di cure mediche legate alla scoperta di un cancro. La notizia si rivela poi falsa ed utilizzata per nascondere la volontà dell’uomo di collaborare.

È passato ormai un quarto di secolo dagli interrogatori di Sandokan, condotti da Raffaello Magi, giudice a latere della Corte d’Assise del maxi processo Spartacus. “Trovai un uomo dall’atteggiamento fiero e sicuro di sé, per nulla piegato dall’essere finito dietro le sbarre – ha raccontato infatti Magi – che disse che i collaboratori di giustizia saranno abbandonati dalle istituzioni e faranno tutti la fine dei clochard“. Oggi però Francesco Schiavone sembra entrato a far parte della cerchia di persone che fino a circa 25 anni fa detestava.

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