La controversa partecipazione del cardinale Becciu al Conclave

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Roma: Il cardinale Giovanni Angelo Becciu è al centro di un caso senza precedenti in Vaticano. Coinvolto in uno scandalo finanziario e condannato in primo grado dal tribunale vaticano, Becciu rivendica il diritto di partecipare come elettore al prossimo conclave che eleggerà il successore di Papa Francesco. Tuttavia, un provvedimento disciplinare del 2020 con cui Francesco lo privò dei “diritti del cardinalato” ha sollevato incertezze sulla sua effettiva eligibilità come cardinale elettore. Mentre le norme canoniche sul conclave delineano in teoria chi può votare, nel caso di Becciu le interpretazioni divergono: c’è chi sostiene che nulla possa escluderlo dalla Cappella Sistina e chi, invece, ritiene che egli sia già de facto fuori. Di seguito ripercorriamo la vicenda giudiziaria, la posizione attuale di Becciu nella Chiesa, le norme pertinenti e le opinioni di esperti e vaticanisti su questa delicata questione.

Becciu, originario della Sardegna, è stato per anni uno degli uomini più influenti della Curia romana. Dopo aver svolto il ruolo di sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato (una sorta di “numero due” in Vaticano) dal 2011 al 2018, venne creato cardinale da Papa Francesco e nominato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. La sua repentina caduta in disgrazia avvenne nel 2020, quando emersero sospetti su operazioni finanziarie opache condotte durante il suo servizio come Sostituto. In particolare, Becciu fu accusato di peculato e abuso d’ufficio nell’ambito dello scandalo dell’acquisto di un immobile di lusso a Londra (un palazzo da circa 200 milioni di euro, finanziato con fondi riservati della Segreteria di Stato) e di altri presunti illeciti nella gestione di denaro vaticano – tra cui fondi inviati a una cooperativa sarda (la Spes di Ozieri, guidata dal fratello di Becciu) e pagamenti a Cecilia Marogna, sedicente esperta di intelligence. Becciu si è sempre proclamato innocente parlando di “macchinazione” ai suoi danni, ma Papa Francesco, la sera del 24 settembre 2020, lo convocò per un drammatico colloquio a casa Santa Marta. In quell’occasione, il Pontefice lo accusò pesantemente di aver tradito la fiducia ricevuta con atti di nepotismo e malversazione, portandolo alle dimissioni forzate dalle sue funzioni.

Dopo lunghe indagini, il processo penale vaticano a carico di Becciu e di altri imputati (broker finanziari, funzionari e la stessa Marogna) si è aperto nel luglio 2021. Il procedimento, definito come il più complesso mai celebrato in Vaticano, si è concluso in primo grado nel 2023 con una storica condanna: Becciu è divenuto il primo porporato riconosciuto colpevole da un tribunale della Santa Sede. In particolare, nel dicembre 2023 i giudici vaticani presieduta dal Presidente del Tribunale Vaticano Dott. Giuseppe Pignatone con oltre 700 pagine di sentenza lo hanno condannato a 5 anni e 6 mesi di reclusione per peculato e truffa aggravata. La sentenza – che Becciu ha immediatamente impugnato – non è definitiva: un processo d’appello è atteso (originariamente fissato per l’autunno 2024) e fino all’esito finale il cardinale gode della libertà, risiedendo tuttora in un appartamento all’interno del Vaticano . Dal punto di vista canonico, va notato che Becciu non risulta colpito da censure ecclesiastiche (come la scomunica) né è stato dimesso dallo stato clericale: le accuse mosse contro di lui riguardano reati di natura finanziaria e amministrativa, giudicati in base all’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano. In mancanza di provvedimenti canonici espliciti, resta dunque aperta la questione se la sua condanna (per ora non definitiva) abbia riflessi sulla sua posizione nel collegio cardinalizio.

Parallelamente alle vicende giudiziarie, il caso Becciu presenta un importante risvolto disciplinare ed ecclesiale. Nella fatidica riunione del 24 settembre 2020, infatti, Papa Francesco chiese e ottenne dal porporato una rinuncia ai diritti e privilegi connessi al cardinalato. In pratica, a Becciu fu consentito di mantenere il titolo di cardinale – e i segni esterni della porpora – ma gli furono revocati tutti gli incarichi (lasciando la guida della Congregazione dei Santi) e, soprattutto, gli fu precluso l’esercizio delle prerogative che normalmente spettano a un membro del Collegio cardinalizio. Lo stesso Becciu, all’indomani di quella drammatica sera, riconobbe pubblicamente di aver perso il diritto di partecipare a un futuro conclave. Il comunicato ufficiale della Santa Sede parlò di rinuncia ai “diritti connessi al cardinalato”, espressione inedita che includeva implicitamente il diritto di elezione pontificia. Da allora, Giovanni Angelo Becciu è stato spesso descritto come un “cardinale decaduto” (pur senza un provvedimento formale di degradazione): un caso molto insolito, in cui un porporato sotto gli 80 anni conserva la porpora solo in senso onorifico, senza poter svolgere le funzioni proprie dei cardinali attivi.

Questo status particolare ha avuto concrete conseguenze pratiche. Ad esempio, negli elenchi ufficiali del Vaticano il nome di Becciu è inserito tra i cardinali non elettori, al pari di coloro che hanno superato il limite di età: accanto al suo nominativo compare l’indicazione “non elettore”, nonostante i suoi 76 anni. D’altro canto, il Papa non ha mai emanato un decreto di privazione formale del titolo cardinalizio (come invece avvenuto in casi estremi, ad esempio con Theodore McCarrick, dimesso dal cardinalato e dallo stato clericale nel 2018 per scandali sessuali). Becciu dunque è rimasto un cardinale “a metà”: escluso dagli eventi ufficiali riservati ai porporati? Non del tutto. Nel corso degli anni successivi, Francesco ha mostrato alcuni segnali di misericordia verso di lui. Nell’agosto 2022, a sorpresa, il Pontefice lo invitò personalmente a partecipare al concistoro per la creazione di nuovi cardinali e alla riunione successiva dedicata alla riforma della Curia. Fu la prima volta che Becciu tornava a un evento collegiale con gli altri cardinali dopo la caduta del 2020. Fonti vaticane tuttavia precisarono subito che tale invito non andava interpretato come una riabilitazione: “i diritti del Cardinalato non si riferiscono alla partecipazione alla vita della Chiesa; i cristiani sono chiamati a prendervi parte, secondo il proprio stato: nel caso dei cardinali questo può includere l’invito – talvolta personale – a partecipare ad alcune riunioni a loro riservate”. In altre parole, la Santa Sede chiariva che Becciu era stato ammesso a quegli incontri per benevola concessione del Papa, ma senza che ciò implicasse il ripristino delle facoltà cardinalizie che aveva rinunciato.

Questa distinzione tra partecipazione su invito e diritti di ufficio è emersa nuovamente alla morte di Papa Francesco (sulla quale si basa la situazione attuale). Tutti i cardinali, compresi quelli ultraottantenni e non elettori, vengono tradizionalmente convocati a Roma per le Congregazioni Generali – le riunioni preparatorie del conclave durante la sede vacante. In tal senso, anche Becciu è stato invitato a prendervi parte. Lo stesso direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni, incalzato dai giornalisti sul “caso Becciu”, ha confermato in quei giorni che “tutti i cardinali sono invitati a partecipare alle congregazioni; sul conclave poi si vedrà”. Il cardinale sardo ha quindi regolarmente fatto il suo ingresso in Vaticano assieme agli altri porporati: secondo le cronache, era presente già dalla prima congregazione generale e nei giorni seguenti ha occupato il suo posto in Aula nuova del Sinodo, insieme ai colleghi. La sua sola presenza, però, ha subito alimentato domande pressanti: quando i lavori sarebbero passati dalle discussioni preliminari all’atto formale di ingresso in conclave, Becciu avrebbe avuto il diritto di entrare in Cappella Sistina per votare? Oppure il provvedimento del 2020 lo avrebbe tenuto fuori, nonostante non esista alcuna sanzione canonica definitiva a suo carico? Questo dilemma, inedito nella storia recente della Chiesa, ha richiesto di fare riferimento sia alle norme della Chiesa in materia di elezione papale, sia ai pareri degli esperti.

Cosa prevedono le norme canoniche sul Conclave

La normativa della Chiesa circa l’elezione del Papa è delineata da un insieme di fonti. In primo luogo il Codex Iuris Canonici (1983) stabilisce in linea generale che spetta al Collegio dei Cardinali provvedere alla scelta del nuovo Pontefice. Il canone 349 recita infatti: “I Cardinali di Santa Romana Chiesa costituiscono un Collegio peculiare cui spetta provvedere all’elezione del Romano Pontefice, a norma del diritto peculiare” . Il diritto peculiare richiamato da questa norma è costituito principalmente dalla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis (UDG), promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996 e tuttora vigente (con alcune modifiche minori apportate da Benedetto XVI nel 2007 e 2013). Questo testo stabilisce in dettaglio le regole da osservare durante la sede vacante e lo svolgimento del conclave. Una delle norme fondamentali introdotte da Paolo VI e confermata da UDG riguarda il limite d’età: “al conclave partecipano non più di 120 cardinali elettori che non devono aver superato gli ottanta anni di età il giorno antecedente la morte o le dimissioni del Papa”. Dunque, solo i cardinali under 80 hanno diritto di voto. Giovanni Paolo II fissò anche un tetto numerico di 120 elettori (spesso superato in pratica dai Papi successivi, che hanno talora creato più cardinali sotto gli 80, pur sapendo che il naturale corso del tempo avrebbe riportato il numero entro i limiti all’atto del conclave). Attualmente i Cardinali elettori sono 135 mentre i non elettori 117 ma già due hanno rinunciato all’ingresso in conclave tra gli elettori, per ragioni di salute. Si tratta dello spagnolo Antonio Canizares Arcivescovo emerito di Valencia ( Spagna) e dell’arcivescovo emerito di Sarajevo Vinko Puljic, scendondo cosi a 133 elettori.

Oltre ai requisiti anagrafici, Universi Dominici Gregis qualifica la partecipazione al conclave sia come un diritto sia come un dovere per i cardinali aventi diritto. In particolare, l’art. 33 della Costituzione definisce l’elezione del nuovo Pontefice come un «diritto» dei cardinali elettori, mentre l’art. 38 aggiunge che “tutti i Cardinali elettori, chiamati dal Decano a partecipare alla scelta del nuovo Papa, sono obbligati, in nome della santa obbedienza, a rispondere alla convocazione e a raggiungere il luogo stabilito, a meno che non siano impediti da malattia o da altri motivi gravi, che però devono essere approvati dal Collegio cardinalizio”. In sostanza, ogni porporato sotto gli 80 anni ha il diritto e insieme il dovere di essere presente in conclave, e solo una grave causa giustificata – riconosciuta come tale dagli altri cardinali – può legittimamente trattenerlo dall’intervenire. Questa formulazione sottolinea sia l’importanza che la Chiesa attribuisce alla massima partecipazione possibile degli aventi diritto, sia la necessità di un consenso collegiale qualora un cardinale elettore intenda assentarsi (o debba essere escluso per motivi oggettivi).

Un ulteriore principio ribadito con forza dalla normativa riguarda il divieto di interferenze o esclusioni arbitrarie. Universi Dominici Gregis (richiamando disposizioni analoghe di Paolo VI) sancisce che nessun cardinale elettore può essere escluso dall’elezione, attiva o passiva, “per nessun motivo o pretesto”. Ciò significa che, in linea di principio, neppure eventuali provvedimenti canonici di censura – come la scomunica, l’interdetto o la sospensione a divinis – impediscono a un cardinale di prendere parte al conclave: eventuali sanzioni latae sententiae sono sospese ipso iure per permettere la validità dell’elezione pontificia. Questo punto fu sottolineato anche da Benedetto XVI nel Motu Proprio Normas Nonnullas del 2013, proprio per evitare dubbi sulla legittimità universale dell’elettorato attivo e passivo del collegio cardinalizio.

Tuttavia, le stesse norme prevedono alcune eccezioni o condizioni. La frase “fermo restando quanto prescritto al n. 40 e al n. 75” attenua il principio di non esclusione: il n. 40 di UDG, ad esempio, stabilisce che i cardinali ultraottantenni non godono più del diritto di voto (pur potendo partecipare alle congregazioni generali), escludendoli dunque di diritto dal conclave. Inoltre, un cardinale può rinunciare al cardinalato o ai relativi diritti, e il Papa può accettare tale rinuncia rendendola effettiva (come avvenuto per Becciu). In caso di deposizione o dimissione dallo stato clericale, il porporato perderebbe automaticamente ogni diritto (un cardinale laico o spretato non fa più parte del Collegio). Dunque, sebbene UDG non contemplasse espressamente la fattispecie di un cardinale sotto gli 80 anni ma privo dei diritti cardinalizi per volontà del Papa, è implicito che un provvedimento pontificio in tal senso – o una rinuncia volontaria accettata dal Pontefice – incida sulla composizione del corpo elettorale. In altri termini, il caso Becciu rappresenta una “zona grigia” non esplicitamente normata: da un lato egli rientra anagraficamente tra gli elettori, dall’altro un atto di rinuncia formale ne ha sospeso lo ius suffragii. Questa situazione anomala ha aperto il campo a diverse interpretazioni, affidando di fatto al Collegio cardinalizio il compito di decidere come applicare le regole al caso concreto.

Sin dall’annuncio della morte di Papa Francesco e dell’imminente conclave, il “rebus Becciu” è stato oggetto di intense discussioni tra osservatori e addetti ai lavori. Giovanni Angelo Becciu, da parte sua, ha subito manifestato l’intenzione di partecipare al voto, sostenendo di non vedere ostacoli formali alla sua presenza in Sistina. In un’intervista al quotidiano sardo L’Unione Sarda, il cardinale ha dichiarato: «Richiamandomi all’ultimo Concistoro, il Papa ha riconosciuto intatte le mie prerogative cardinalizie in quanto non vi è stata una volontà esplicita di estromettermi dal Conclave né la richiesta di una mia esplicita rinuncia per iscritto. L’elenco pubblicato dalla Sala Stampa non ha alcun valore giuridico e va preso per quello che è». Becciu ha quindi interpretato la sua situazione sostenendo che, non essendoci un decreto papale che esplicitamente lo priva del diritto di voto (oltre alla generica rinuncia del 2020), egli rimane un cardinale elettore a tutti gli effetti e che la sua esclusione dalle liste ufficiali sarebbe solo un atto amministrativo privo di base canonica. Inoltre, il porporato ha rivelato di aver incontrato Papa Francesco nel gennaio 2025, poco prima che il Pontefice venisse ricoverato, e che in quell’occasione il Papa gli avrebbe detto: “Penso di aver trovato una soluzione” al suo caso. Parole che Becciu ha interpretato come segno di una possibile decisione favorevole di Francesco per reintegrarlo pienamente – decisione poi non formalizzatasi a causa della sopraggiunta morte del Papa. Alla domanda se esistessero documenti scritti del Pontefice sul suo status, Becciu ha affermato di non esserne a conoscenza, ribadendo però che in assenza di un ordine contrario “saranno i miei confratelli cardinali a decidere”.

Di avviso opposto sono molti altri autorevoli esponenti vaticani e canonisti. Secondo quanto rivelato dal professor Vincenzo Pacillo, ordinario di Diritto Canonico all’Università di Modena-Reggio, la situazione giuridica è in realtà cristallina: “Nel 2020 Papa Francesco lo aveva costretto a rinunciare ai ‘diritti e privilegi’ del cardinalato. Papa Francesco ha accettato formalmente la rinuncia e l’ha resa pubblica: quindi l’atto è perfetto ed efficace”. Il canonista osserva che la dichiarazione di rinuncia di Becciu, essendo “recettizia”, ha acquistato piena validità giuridica con l’accettazione pontificia. Pertanto, conclude Pacillo, “Becciu resta cardinale solo honorifice, ma senza ius suffragii, dunque non può votare in conclave, né [ha] ius deliberandi, [cioè] non partecipa ai lavori decisionali del Collegio. Ha ancora lo ius poenitendi, cioè può chiedere al Papa successivo di essere riammesso, ma fino a quel momento non potrà entrare nella Cappella Sistina a partecipare al conclave”. In questa prospettiva, la privazione dei diritti cardinalizi operata nel 2020 avrebbe già definitivamente escluso Becciu dal novero degli elettori del Papa, a meno di una futura grazia o revoca formale da parte di un nuovo Pontefice. Anche molti vaticanisti e altri cardinali propendono per questa linea rigorosa.  Altra novità di queste ore, l’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian ha svelato l’esistenza di due lettere riservate firmate da Papa Francesco – una datata 2023 e l’altra addirittura del marzo 2025, durante l’ultima malattia del Pontefice – in cui Bergoglio avrebbe messo nero su bianco la volontà di escludere Becciu dall’ingresso in Sistina per il conclave. Tali missive sarebbero state mostrate al cardinale dal Segretario di Stato Pietro Parolin poco prima del conclave, confermando al diretto interessato il divieto di partecipazione. Queste rivelazioni, se vere, chiarirebbero l’intenzione del Papa defunto, ma non essendo state pubblicate ufficialmente costituiscono un “giallo” destinato a pesare sulla vicenda: un Papa può vincolare i cardinali con una lettera privata post mortem? O servirebbe un atto pubblico prima della sua morte? Il dibattito resta aperto.

Tra i porporati, c’è chi ha parlato in modo altrettanto netto. Il cardinale Vincenzo Paglia, interpellato informalmente, avrebbe liquidato la questione affermando: “Il caso è chiuso: Becciu è già fuori”, smentendo la tesi che vi fosse ancora una decisione da prendere. In effetti, subito dopo la morte di Francesco, l’Ufficio Stampa vaticano nel fornire l’elenco ufficiale dei cardinali elettori aveva omesso il nome di Becciu, segnalando quindi al mondo che egli non era considerato un elettore legittimato. Secondo fonti ascoltate dal quotidiano Avvenire, in assenza di indicazioni scritte e definitive di Papa Francesco, spetta ora al Collegio dei Cardinali esprimersi sul caso, presumibilmente nell’ambito delle congregazioni generali pre-conclave. Si tratta di capire se i cardinali intendano ratificare la linea dell’esclusione (già implicita nel provvedimento del 2020 e nei successivi atti ufficiosi) o se qualcuno proporrà di ammettere comunque Becciu al voto, magari invocando il principio generale di non-esclusione sancito da Universi Dominici Gregis. Al momento, pare prevalere la prudenza: più di un porporato interpellato dai media ha evitato di pronunciarsi, limitandosi a frasi come “Su Becciu non possiamo dire ancora niente” o “Vedremo” . Segno che la questione è delicata e potenzialmente divisiva.

In definitiva, il “caso Becciu” rappresenta un unicum che mette alla prova la tenuta delle regole ecclesiastiche e l’unità del Collegio cardinalizio. Da un lato c’è la lettera della legge canonica che garantisce ai cardinali elettori il diritto-dovere di votare per il Papa, dall’altro c’è lo spirito della legge che esige per tale ruolo una limpida reputazione e comunione ecclesiale (aspetti su cui pesano le ombre del processo). La decisione finale – se Becciu dovrà restare fuori dalla Cappella Sistina oppure potrà accedervi con gli altri sotto lo sguardo del Giudizio Universale di Michelangelo – spetta ora ai suoi confratelli porporati, riuniti in Vaticano. Sarà probabilmente durante una delle Congregazioni generali che, a maggioranza, i cardinali scioglieranno il nodo, confermando o meno l’esclusione del collega. Qualunque esito avrà questa vicenda, esso costituirà un precedente significativo: mai nell’era moderna ci si era trovati a dover decidere collegialmente sulla partecipazione di un cardinale condannato e sanzionato dal Papa a un conclave. Come ha scritto un analista, la gestione del “test Becciu” sarà anche un “banco di prova” della fiducia dei cardinali nel primato della legge all’interno della Chiesa. Nel frattempo, l’attenzione di osservatori e fedeli resta alta: all’ombra del prossimo Conclave, il destino ecclesiale di Angelo Becciu rimane appeso a un filo sottile, teso tra misericordia e giustizia, diritto e discrezionalità.

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