Imam in preghiera all’Università di Torino, Bernini chiama il rettore

La condanna della Bernini e del rettore al sermone dell'imam a Torino: "Fatti avvenuti in situazione di occupazione da parte degli studenti"

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Da oltre dieci giorni l’ateneo di Torino è occupato dalla manifestazioni Pro Palestina. La ministra dell’Università, Anna Maria Bernini è intervenuta chiamando il rettore, Stefano Geuna, per ribadire il suo disappunto sulla scelta del corteo di chiamare l’imam della moschea della città in sede.

Di fatto, venerdì scorso a Palazzo Nuovo l’Imam Brahim Baya ha tenuto un momento di preghiera nell’androne della sede di Torino. Ad ascoltarlo c’erano una trentina di manifestanti e fedeli. Il video è stato poi pubblicato sui social con il titolo “Cosa ci insegna la Palestina” e ha suscitato posizioni di condanna da parte di alcuni professori che hanno parlato di un “inno alla Jihad”.

Il disappunto della Bernini

L’Università di Torino ha emesso un comunicato in merito alla telefonata fra ministro e rettore: “Durante la conversazione, il rettore ha precisato che il fatto è avvenuto in situazione di occupazione da parte di studenti, i quali impediscono da giorni l’accesso a docenti e personale universitario, quindi sotto la piena responsabilità degli occupanti per parte sua, l’Università di Torino ribadisce fermamente il carattere di laicità dell’istituzione universitaria“.

A seguire le parole della Bernini, è Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione che afferma: “L’imam in preghiera all’Università di Torino è un altro triste capitolo della “cancel culture” e di quel sentimento di “cupio dissolvi” in cui trovano rifugio una parte delle nuove generazioni“.

Le parole dell’imam a Torino

Nel suo intervento l’Imam parla della “Terra Benedetta e nei suoi dintorni c’è la Palestina“. Sulla Palestina, continua: “E’ sempre mira degli invasori, degli arroganti, dei colonizzatori, lo è stata al tempo delle Crociate. I nuovi sionisti sono arrivati per prendersi quella terra, per insediarsi in un colonialismo più becero, più criminale che possa esistere, che è il colonialismo di insediamento in cui pretendevano che quella terra fosse una terra senza popolo ma non hanno calcolato che c’è un popolo ma non un popolo come gli altri ma il popolo Palestinese“.

Nel sermone l’Imam aggiunge “che ha resistito di fronte a questa furia omicida, questa furia genocida, uscita dalle peggiori barbarie della storia che non tiene in considerazione nessuna umanità, nessun diritto umano“. La sofferenza vissuta dal popolo la definisce come “una forma di Jihad. Il Jihad nel più alto senso di questo termine, come sforzo per difendere i propri diritti, come sforzo per difendere la vita umana, come sforzo per difendere la pace. La vera pace“.

Jihad “che vediamo in Palestina nella sua più importante più palese manifestazione, un jihad compiuto da donne, uomini, bambini ognuno con quello che può contribuisce a questa lotta di liberazione che è cominciata dal primo momento in cui i sionisti hanno calpestato quella terra Benedetta, prima ancora della Nakba di cui celebriamo il ricordo in questi giorni” ha poi concluso.

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