Sarebbe bastato il 4% di voti per volare a Strasburgo, ma nonostante un’impressionante astensione pubblica, meno di un italiano su 2 si è recato alle urne, a non aver convinto gli elettori è stata soprattutto l’area riformista. Ad aver giocato contro e ad aver creato svantaggi è sicuramente stata la divisione dei partiti che presi separatamente non sono arrivati alla soglia minima. Né Stati Uniti d’Europa di Matteo Renzi, né Azione di Carlo Calenda hanno raggiunto il quorum se pur la somma dei loro consensi 1,5 milioni di voti avrebbe portato ad un altro esito.
I grandi leader sotto il 4%
I più importanti leader che non sono arrivati alla soglia del 4% sono Carlo Calenda di Azione che ha ottenuto 750 mila voti 3,3%, Matteo Renzi di Stati Uniti d’Europa con 854 mila voti 3,6%, Emma Bonino con la +Europa e Italia Viva. Anche Michele Santoro di Pace Terra-dignità è arrivato sotto la soglia insieme a Cateno De Luca di Libertà e Stefano Bandecchi di Alternativa con l’1,84% di voti. Possiamo dire che il risultato per ora emerso ha rafforzato il governo ma anche l’opposizione; ma di fondamentale importanza il fattore astensione che, specialmente al sud, ha segnato anche queste elezioni
La destra unita vs una sinistra indebolita
La storia si ripete, l’unione fa la forza. Ce l’avevano dimostrato le parole della Premier Giorgia Meloni durante durante la campagna elettorale in cui aveva rivendicato il necessario bisogno dei partiti di esprimere la loro identità pur significando un governo unito. Cosa in netto contrario sembra la situazione del centro sinistra, reduce da mille fraintendimenti che hanno creato un indebolimento. Situazione che mette in secondo piano le potenzialità dei partiti. Nonostante non sia concluso lo spoglio, una prima attenzione sui risultati ci mostrano che gli elettori di destra hanno confermato la leadership mentre gli elettori di sinistra hanno fatto un’importante rimonta fino a raggiungere uno scarto di appena 7 punti.
