In seguito agli attacchi del 7 ottobre e alla risposta del governo di Netanyahu, l’odio anti ebraico è cresciuto in tutta Europa. Si è scatenata una guerra parallela, mediatica, contro chiunque abbia a che fare con l’identità ebraica o israeliana; un sentimento che prescinde dall’orientamento politico. Questo ha avuto ripercussioni anche sul mondo della cultura perché ha portato alla cancellazione di eventi, concerti e articoli, che sono stati ritirati dalla scena per via di questa cesura anti-israeliana.
Censura anti-israeliana, il caso dell’Eurovision
Più di 1.000 artisti musicali della Svezia, paese ospitante dell’Eurovision, hanno firmato una lettera aperta chiedendo l’esclusione di Israele dall’edizione di quest’anno del concorso canoro a causa della sua “brutale guerra a Gaza”. In risposta, l’Unione europea di radiodiffusione ha annunciato che Israele non sarebbe stato escluso, sottolineando lo status apolitico dell’evento e sostenendo che l’Eurovision Song Contest era una gara tra emittenti di servizio pubblico non tra Stati.
La cantante Eden Golan rappresenterà il paese al concorso dell’Eurovosion in Svezia questo maggio. Si pensava che la sua canzone originale, October Rain, facesse riferimento agli attacchi di Hamas del 7 ottobre ed era stata bandita per aver infranto le regole sulla neutralità politica. L’emittente pubblica israeliana ha accettato di modificare la canzone, ora intitolata Hurricane. “Si è convenuto che ‘Hurricane’ soddisfaceva i criteri necessari per la partecipazione in conformità con le regole del concorso.”
Censura, il caso dell’articolo di Joanna Chen
Non dissimile la sorte che è spettata al saggio “From the Edges of a Broken World” della scrittrice e traduttrice israeliana Joanna Chen, pubblicato sulla rivista di arte e politica Guernica, è stato censurato e rimosso a seguito delle critiche da parte di lettori e di alcuni membri della redazione. Molti di questi si sono dimessi dopo la pubblicazione del saggio, contestando la rappresentazione del sionismo e del conflitto in corso in Palestina presentata nel pezzo.
Madhuri Sastry, un attivista per i diritti umani e ricercatore ex della Croce Rossa americana, ha lasciato l’incarico di co-editore domenica, dopo aver definito il saggio “un’apologia toccante del sionismo e del genocidio in corso in Palestina”. Ha chiesto le dimissioni anche il redattore capo della rivista, Jina Ngarambe.
La rimozione del saggio ha scatenato un dibattito all’interno della comunità letteraria e culturale sul trattamento degli autori ebrei ed israeliani negli spazi progressisti. Il fatto, riportato dal quotidiano Times od Israel, è l’ennesimo episodio di caccia alle streghe, in cui scrittori ed accademici vengono messi alla gogna, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, per il solo fatto di essere israeliani.
Censura alla Biennale
A fine febbraio migliaia di artisti, oltre a istituzioni ed enti culturali, hanno chiesto l’esclusione di Israele dalla prossima edizione della Biennale d’Arte di Venezia, in programma dal 20 aprile al 24 novembre. Ma la petizione, nominata Art Not Genocide Alliance, è stata respinta. L’iniziativa chiedeva l’esclusione del padiglione nazionale di Israele come conseguenza alle politiche del governo israeliano nel conflitto in corso.
Gli organizzatori dell’evento avevano risposto così alle oltre diciottomila firme dell’appello: «In merito alla partecipazione all’Esposizione internazionale d’arte di Paesi presenti nei padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e in città, La Biennale di Venezia precisa che tutti i Paesi riconosciuti dalla Repubblica Italiana possono in totale autonomia richiedere di partecipare ufficialmente. La Biennale, di conseguenza, non può prendere in considerazione alcuna petizione o richiesta di escludere la presenza di Israele o Iran dalla prossima 60esima Esposizione Internazionale d’Arte“.
Anche il ministro Sangiuliano ha commentato le questione e il suo intervento è arrivato con una nota diffusa dal ministero della Cultura, con cui Sangiuliano ha condannato duramente la richiesta della petizione: “È inaccettabile, oltre che vergognoso, il diktat di chi ritiene di essere il depositario della verità e con arroganza e odio pensa di minacciare la libertà di pensiero e di espressione creativa in una nazione democratica e libera come l’Italia – si legge –. Israele non solo ha il diritto di esprimere la sua arte ma ha il dovere di dare testimonianza al suo popolo proprio in un momento come questo in cui è stato duramente colpito a freddo da terroristi senza pietà”.