Proporzionale e premio di maggioranza: se Schlein insiste con Conte. Meloni si trova in dono un Btp trentennale

Non c’è ancora una proposta formale ma è attorno a questo schema che si sta lavorando: si torna al proporzionale con le preferenze e un premio di maggioranza alla coalizione o al partito che supera una certa soglia. Per facilitare il confronto si toglie l’elezione diretta del premier e si lascia solo l’indicazione sulla scheda. Meloni in questo modo mette Schlein davanti al bivio: o sceglie la corsa solitaria, ma dovrebbe ridefinire la linea politica; oppure continua la rincorsa a Conte ma in tal caso è come donare un Btp trentennale ad alto rendimento a Giorgia Meloni. È aperta la questione del premio che non potrà essere eccessivo senza snaturare il ruolo di rappresentanza del Parlamento

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Ci siamo. L’arbitro sta per chiamare tutti alla linea di partenza e dare il via alla maratona che dovrà portare a una nuova legge elettorale di chiaro impianto proporzionale, con un premio di maggioranza che il centrodestra vorrebbe per la coalizione o il partito che supera la soglia del 40%. In cambio, si lascerebbe cadere l’elezione diretta del premier conservando la semplice indicazione sulla scheda.

È una sintesi molto approssimativa delle idee che circolano nel centrodestra e sulle quali è aperta la riflessione anche nell’altro campo. Dopo averla invocata per anni come panacea ai mali provocati dai vari meccanismi elettorali (maggioritario secco, misto, proporzionale corretto) ognuno battezzato con nomi più o meno di fantasia (Italicum, Rosatellum, Porcellum), la proporzionale rientra dalla finestra dopo essere stata esorcizzata e cacciata dalla porta con i referendum di Mariotto Segni, nel remoto 1993. Con lei, tornano le amate preferenze con le quali si punta a raggiungere due obiettivi. Restituire agli elettori il diritto, se non proprio il piacere, di scegliere da chi essere rappresentati in Parlamento. Dall’altro lato, la scommessa, per pudore non dichiarata dai partiti, di elevare lo standard e la qualità del ceto parlamentare nella cui mediocrità molti osservatori riconoscono una delle cause, se non la principale, della crescente diserzione delle urne da parte degli elettori.

Il ritorno della proporzionale non dovrebbe incontrare ostacoli da parte delle forze politiche. Non manca, però, chi avrà da dolersi. È il caso di Dario Franceschini il cui “lodo” verrebbe affondato. Il lettore ricorderà che a,cune settimane fa, il deus ex machina di molti, troppi segretari del Pd, aveva ipotizzato uno schema misto per favorire l’intesa del Pd con Conte, Fratoianni e Bonelli nei collegi uninominali per correre separatamente nella quota proporzionale. Lo schema a cui starebbe lavorando la maggioranza punta a neutralizzare questa manovra e costringere Schlein e Conte a mettere le carte in tavola. A uscire, cioè, fuori dalla contesa, dai troppi “vorrei ma non posso” per decidere finalmente se fare l’alleanza oppure ognuno per sé.

Non è una questione irrilevante. Per Schlein più ancora che per Conte. Scegliere la corsa solitaria, per il Pd significa un vero e proprio bouleversement della strategia politica, con tutto ciò che comporta. Riallacciare i rapporti con le forze moderate, restituire spazio a Matteo Renzi dopo averne combattuto il Jobs act con il referendum. Senza più la mediazione dei collegi uninominali, la rotta per Schlein è segnata: puntare a un’alleanza organica con Conte, Fratoianni e Bonelli per essere competitivi alle prossime politiche. Quanto credibili, è tutt’altro discorso. Da qui al 2027, se non qualche mese prima, Schlein viene a trovarsi nella condizione dell’acrobata che deve esibirsi senza la rete di protezione. Due anni durante i quali dovrà fronteggiare i malumori di quella fetta del partito un tempo riformista e oggi – salvo le rare eccezioni di Picierno, Gori, Ascani, Sensi – ritirata in silenzio eremitico nella speranza di strappare la ricandidatura. Non ha gli stessi problemi Giorgia Meloni. Con una legge che premia le coalizioni, il suo alleato-competitore, Salvini, si ritrova con gli schiavettoni e destinato a una ben magra sorte a mano a mano che si allarga il divario fra i toni minacciosi e la mansueta rassegnazione a votare tutto ciò che passa il governo.

Dove il tema elettorale presenta degli spigoli, e rischia di naufragare, è sulla consistenza del premio di maggioranza. Se venisse confermata l’ipotesi che circola da qualche tempo, e cioè un premio alla coalizione o al partito che supera il 40% dei voti, non sarebbe da escludere un rilievo costituzionale. Prendere il 50%+1 dei parlamentari avendo ottenuto il 40% dei voti significa infatti un premio di oltre il 25% e tale misura verrebbe a essere in contrasto con la logica proporzionale del sistema. Per dire: rientrato in Italia dal suo esilio americano, Gaetano Salvemini, nel frattempo diventato sostenitore del proporzionale, sosteneva la necessità di un premio di maggioranza tale, però, da non smentire la logica proporzionale. E lo fissava al massimo del 7%. Il che vorrebbe dire assegnare il premio a quella coalizione o a quel partito che avesse raggiunto almeno il 46-47% dei voti che, a ben vedere, sarebbe la consistenza attuale del centrodestra. Un premio non troppo elevato sarebbe oltremodo incentivo a coalizzarsi anche per quelle forze – come Azione – refrattarie a schierarsi perché un’asticella alta costringerebbe le forze maggiori ad ampliare il più possibile la coalizione.

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