In ogni famiglia che abbia più di un figlio nascono rivalità e rancori tra fratelli e sorelle, spesso alimentate dai genitori o più spesso scaturite da futili motivi. In Italia nelle famiglie del centrodestra e del centrosinistra sembra di assistere alle stesse dinamiche: Lega e Fdi da una parte e Pd e Movimento 5 Stelle dall’altra. Un continuo rincorrersi e cercare di affossarsi in nome dell’attenzione di “genitore 1” e di “genitore 2”, che in questo caso sono il consenso degli italiani e le prossime elezioni europee.
Matteo Salvini e Giuseppe Conte subiscono la loro posizione di “fratelli minori” rispetto alle “sorellone” Giorgia Meloni ed Elly Schlein, che tengono tutta per loro la luce dei riflettori in vista del prossimo duello televisivo che le vedrà protagoniste. Si scontrano durante il premier time sul tema della sanità, si invitano reciprocamente a dibattiti pubblici e sembrano non degnare neanche di uno sguardo i due fratellini. Certo, con paio di differenze: la prima è di ordine quantitativo, in quanto la Lega viaggia a 20 punti di distanza dai Fratelli d’Italia, mentre il Movimento 5 Stelle è ad una incollatura dal PD stimata in 3/4 punti percentuali; la seconda è di posizionamento sullo scacchiere politico. Anche qui la differenza tra i due fratelli minori Salvini e Conte è abbastanza evidente: da una parte la Lega che annaspa alla ricerca del consenso alla destra di Meloni e rischia di schiantarsi sulle fantasie e le inconcludenze del generale Vannacci e, dall’altra, Giuseppe Conte che contende al Partito Democratico i consensi sul piano dei diritti incomprimibili e della difesa delle famiglie che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. Una situazione che ha spinto Salvini e Conte a cercare nell’opposizione interna alle rispettive coalizioni la luce della ribalta, dimenticando però quanto un fronte unito sia fondamentale nella corsa per governare il Paese in tutte le sue declinazioni: locali, nazionali e delle Aziende la cui governance è determinata dalla politica. Discorso a parte per le elezioni europee dove ci si misura sul piano del risultato proporzionale e non di coalizione.
In un contesto che sembra un campo minato, tra la ricerca di mettere insieme più partiti per superare alle europee la soglia di sbarramento del 4% e la costruzione di alternative per dare un governo diverso al Paese, sono tornati in campo sia Umberto Bossi che Beppe Grillo, con l’obiettivo di indicare la rotta a Lega e M5S. Due partiti che hanno governato insieme il Paese e che hanno pagato in termini di consenso la svolta del Papeete dell’estate 2019, quella che fece commettere a Salvini l’errore di credere che poteva diventare l’uomo solo al comando, forte del 34,3% ottenuto alle elezioni europee del maggio dello stesso anno. Ma fatto cadere il Governo Conte I a Matteo Salvini non ne è andata dritta più una e Fratelli d’Italia, che alle Europee aveva ottenuto solo il 6,4%, ha iniziato la sua operazione di logoramento che ha portato all’attuale scala di valori: in prospettiva la Lega di Salvini è destinata ad essere una terza e residuale forza del Centrodestra.
La chiusura di Grillo sul Terzo mandato
Beppe Grillo, il Garante del Movimento 5 Stelle, ha mandato messaggi inequivocabili a tutto il partito: sul limite dei due mandati non si transige, indicando con ciò la strada della porta a chi sta al secondo mandato e aspetta di poterne fare un terzo. Tuona Grillo sui social che “La regola del doppio mandato è uno dei motivi fondanti per cui è nato il M5S“, senza se e senza ma, nessuno escluso. Tanto che nella discussione sul tetto dei mandati ai Presidenti di Regioni e ai Sindaci di piccoli e grandi e comuni, il Movimento si è schierato secondo quella che è la sua caratteristica fondante: la politica è servizio e non un posto di lavoro come se si fosse dipendenti di un ministero.
Un messaggio breve e conciso che fustiga duramente gli eletti del partito, soprattutto quelli che hanno visto nella riforma voluta dalla Lega una possibilità di continuare a rendere la politica il loro lavoro. Proprio qui si annoda per Beppe Grillo il nocciolo della questione: “La politica non deve diventare una professione. I due mandati sono l’interpretazione della politica come servizio civile“. La politica è un servizio ai cittadini e non una professione e il terzo mandato potrebbe mettere in discussione questa impalcatura fondamentale. “Auspico che il nostro Paese possa farne Legge di Stato” tuona il Garante pentastellato, in un commento che non lascia spazio a interpretazioni.
Il Movimento 5 Stelle non può schierarsi a favore di una riforma che mette in discussione l’alternanza, nonostante le belle parole dei leghisti che sembrano voler mettere al centro il diritto decisionale dei cittadini. Una critica non solo alla Lega ma al suo stesso partito, dove i parlamentari al secondo mandato sono una percentuale cospicua. Questi sembrerebbero aver preso in considerazione la possibilità di un cambio di partito, nell’ipotesi di proseguire con la loro professione, e le parole di Grillo suonano come un cristallino “lascia passare”.
Bossi e il ripensamento sul “delfino” della Lega
Se Beppe Grillo è stato conciso nella sua presa di posizione, Umberto Bossi si è lasciato andare ad un discorso ben più articolato. Al centro il tema del posizionamento della Lega, non più Lega Nord ma Lega nazionalista, secondo l’ex segretario troppo vicina allo spazio di FdI. “La Lega è diventata la copia meno fortunata di Fratelli d’Italia” ha tuonato Bossi, deluso dal comportamento di colui che un tempo fu il suo “delfino”. Bossi ne parla durante una riunione con circa trenta ex ministri e rappresentanti locali, insieme per discutere di una ipotetica associazione politica, senza visioni scissioniste ovviamente.
Matteo Salvini sembra aver perso il nord nella bussola e cerca in personaggi troppo lontani dalla storia del partito, sempre secondo l’analisi del suo predecessore, un tentativo di sblocco e di rinascita. “Ha sbagliato a scegliersi i compagni di strada in questi anni, ma non può ora affidarsi a tipi come quel generale Vannacci“, commenta indignato Umberto Bossi. Le critiche a Salvini sono numerose e sottintendono un’angoscia relativa alle sorti del partito, ora troppo vicino all’estrema destra in un contesto in cui “al governo c’è il partito con la fiamma“.
Qual è la soluzione secondo Umberto Bossi? Il Senatur fa un passo indietro di qualche mese: “C’era uno spazio politico rimasto vuoto e doveva riempirlo lui. Invece l’ha lasciato libero“. Il riferimento è allo scorso giugno, alla morte di Silvio Berlusconi che ha lasciato FI senza guida. Quello per Bossi era il momento di Salvini, il momento di agire e posizionarsi lì dove ora è Forza Italia, partito che potrebbe addirittura sorpassare la Lega nelle elezioni europee. Le stesse che Bossi guarda con una certa nostalgia. Il 2019, l’anno in cui Salvini “aveva stravinto“, commenta l’ex segretario.
Sembra parlare proprio con il suo deludente “delfino” quando dice: “A Starsburgo avevi un gruppo parlamentare che era secondo forse solo al Ppe. Avevi la rappresentanza di tutto il Nord imprenditoriale. E cosa hai fatto? Hai portato la Lega all’opposizione. Ma così non conti niente“. La Lega ha compiuto troppi passi falsi e ora rischia il ruolo nelle prossime europee, a causa della mancanza di una coalizione. “Nel 1989 (anno di costituzione della Lega Nord) accettammo di far gruppo con degli scappati di casa pur di contare qualcosa“, ricorda Bossi.
Tutte scelte sbagliate, tutti fallimenti che hanno portato alla necessità di questa nuova associazione politica che, però, ha come obiettivo non un allontanamento dalla Lega di Salvini, ma una sorta di sostegno. Lo confermano le parole conclusive del Senatur: “E niente strappi. Bisogna stare uniti attorno alla Lega per prepararsi al dopo“. Quale sia il dopo non è ancora dato saperlo, ma Umberto Bossi sembra averlo già capito.