“Alla forza reagire con la forza …” era scritto nella deliberazione adottata dall’Assemblea della Repubblica romana il 26 aprile 1849. Giuseppe Mazzini, riconosciuto fra i padri della Patria, fu un indomabile agitatore dei popoli che aspiravano alla libertà e a un ordinamento democratico della vita civile. Un traguardo simile si poteva raggiungere nel solo modo possibile in quell’epoca, vale a dire attraverso l’insurrezione popolare, cioè dichiarando guerra al principe e a quella parte della società che godeva di ogni privilegio per il semplice censo.
La Repubblica italiana, sorta il 2 giugno 1946, cioè 97 anni dopo l’intensa e straordinaria stagione mazziniana, ha ripreso in larga misura i valori e i principi della Repubblica romana. Compreso l’art. 11, citato per essere storpiato, manipolato e deriso da quanti oggi invocano la fine degli aiuti militari all’Ucraina che si difende dall’aggressione del tiranno russo. È vero: l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Parole nette e chiare sul ripudio della guerra come “offesa” alla libertà. I padri costituenti hanno lasciato un vasto spazio di interpretazione per tutti gli altri casi in cui la guerra non sia “offesa”. Nel caso dell’Ucraina, siamo all’offesa della sua libertà da parte di un despota come Vladimir Putin. Il popolo ucraino ha scelto di “difendere” la propria libertà e in nessuna costituzione, compresa quella italiana, è scritto che il Paese non debba difendersi dall’aggressione.
Non è, come qualcuno vorrebbe far sembrare, una questione di lana caprina. La libertà dei popoli, come la dignità di ogni essere umano, sono valori indisponibili, riconosciuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani alla base dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. La Repubblica, nata con il referendum di 78 anni fa, è il risultato agognato da molte generazioni e raggiunto grazie alla guerra di liberazione dal fascismo e dall’occupazione nazista.
Non si danno nella storia umana casi di popoli liberi che non siano stati costretti, per circostanze non volute e da nessuno cercate, a combattere e lottare per mantenere quella libertà messa a rischio o minacciata dalla prepotenza di qualche tiranno e dalla sua brama di potere e di grandezza. Come si comporta una Repubblica di fronte alla richiesta di aiuto di un altro popolo? E come reagisce di fronte alla minaccia di sterminio nucleare da parte di un despota che non vuole avere intralci per realizzare il suo progetto criminale?
Secondo Giuseppe Conte e Marco Tarquinio, secondo Matteo Salvini e il generale Vannacci, la Repubblica dovrebbe girare lo sguardo altrove e lasciare gli ucraini al loro destino. È un atteggiamento legittimo, perché legittima è la viltà dell’animo umano, e nessuno può chiedere a nessuno di sacrificare il proprio benessere se non addirittura la propria vita per restituire la libertà ad altre persone. Atteggiamento legittimo per chi non sa che cosa è la democrazia e la libertà l’ha trovata dalla nascita e nessuno gli ha spiegato come essa sia stata conquistata e chi ha dato la propria vita per lasciare quella libertà come una preziosa eredità da custodire e trasmettere, intatta e possibilmente arricchita alle generazioni successive.
Di un tiranno come Putin è impossibile conoscere le intenzioni fino in fondo. Aiutare l’Ucraina può significare allora risparmiare lutti e distruzioni alla Moldavia, alla Lettonia, alla Lituania, all’Estonia, alla Polonia e a noi stessi. Quando Jens Stoltemberg, segretario generale della Nato, preso a male parole da qualche politico povero di argomentazioni e di neuroni ma ricco di improperi e contumelie, ha sollecitato i Paesi fornitori di armi a Kiev a concedere, con le armi, l’autorizzazione a usarle contro quei punti del territorio russo da cui partono i missili che falcidiano i civili ucraini, non ha detto cose rivoluzionarie o clamorose. Stoltemberg ha solo corretto l’errore iniziale di impostazione che prevedeva restrizioni severe all’Ucraina nell’uso degli armamenti forniti dall’Occidente. Questo, sì, un grave errore poiché immaginava uno scenario bellico di tipo ottocentesco, quando gli eserciti si scontravano all’arma bianca e i combattenti si guardavano negli occhi prima di uccidersi.
Nel 2024, quando missili balistici realizzano traiettorie da 1500 fino a 4-5000 chilometri, come impedire che quei missili partano dalle loro basi senza aspettare che arrivino sulle nostre teste per essere autorizzati ad abbatterli? Le minacce di ritorsione di Putin sono le minacce di un autocrate alle corde. Se non consegue una vittoria militare in Ucraina, Putin sarà disarcionato da una congiura di palazzo. Una ragione in più per l’Occidente di sostenere senza riserve la lotta del popolo ucraino. E una ragione in più per l’Italia di associarsi agli altri Paesi (Inghilterra, Polonia, Finlandia, Stati Uniti, Germania e Francia) pronti ad autorizzare l’uso delle armi ucraine su quelle aree del territorio russo da cui partono gli attacchi missilistici. Una posizione reticente su questo punto farebbe precipitare il grading dell’Italia fra gli alleati. E alla vigilia del G7 rischieremmo di trovarci isolati rispetto agli altri 6.