La crisi dei migranti: e se l’integrazione dell’Islam fosse un’equazione impossibile?

L’ex primo ministro socialista francese Manuel Valls sulla prima causa della rivolta delle banlieue in Francia

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L’ex primo ministro socialista francese Manuel Valls, ha individuato la prima causa della rivolta delle banlieue nel totale rifiuto di integrarsi da parte di seconde e terze generazioni di immigrati di origine africana, che “non si sono assimilati, non amano la Francia, le sue istituzioni e i suoi simboli”. Così non la pensa invece parte della sinistra italiana, che – immemore dei rischi che corriamo anche noi – continua a “comprendere” le ragioni dei rivoltosi e a rovesciare tutte le responsabilità sulla Francia, simbolo di un’Europa che negherebbe ai migranti i loro diritti.

La lezione francese non sembra avere insegnato nulla ai nostri buonisti dell’immigrazione incontrollata: leggendo certe dichiarazioni e qualche editoriale, nel mirino si mette infatti, invece i giovani teppistici che hanno messo a ferro e fuoco città e periferie, “la violenza che le maggioranze armate di potere esercitano sulle minoranze che non ne hanno alcuno”, e quindi è fisiologico che siamo a rischio di incendio, di devastazione, perfino di rivoluzione violenta.
La sinistra, insomma, continua pervicacemente a negare che esista un problema di integrazione dell’Islam in Europa. Eppure non si tratta di una narrazione interessata della destra, ma la constatazione di quanto è avvenuto nei Paesi che ci hanno preceduto sul piano dell’accoglienza degli immigrati (Gran Bretagna, Olanda, Francia) che oggi si ritrovano in casa una serie di ghetti etnici, confessionali e identitari – le banlieues di Parigi, appunto – dove anche giovanissimi di terza generazione percepiscono l’Occidente come una terra ostile.

Ma in Italia tutti i governi della sinistra hanno sempre spalancato le porte a un’immigrazione incontrollata, ponendo così le basi per un’Italia multietnica e senza regole. Il governo Pd-Cinque Stelle dimezzo’ i tempi per ottenere la cittadinanza italiana, un colossale errore ideologico, molto più dello ius soli che i Dem non perdono occasione per rilanciare. La cittadinanza è infatti il simbolo più identitario dell’appartenenza a una nazione e deve quindi costituire l’approdo del percorso di integrazione, non certo un mezzo per favorirlo. Basti fare l’esempio del padre assassino della giovane pakistana, Hina Saleem, sgozzata nell’estate del 2006 per aver scelto uno stile di vita occidentale. Ebbene, quell’immigrato stava per diventare cittadino italiano perché sul piano formale aveva tutti i requisiti richiesti. Un automatismo per cui avrebbe ricevuto la cittadinanza italiana un immigrato che disprezzava talmente i nostri valori da uccidere la figlia che li aveva assimilati.

Attenzione, dunque, alla falsa equazione secondo cui più è facile ottenere la cittadinanza, prima si arriva all’integrazione. Ci sono infatti islamici che rispondono alla sharia, non alla Costituzione di chi li ospita. La strada predicata (e praticata) dalla sinistra, oltre che da parte del mondo cattolico, contempla per chi arriva molti diritti e nessun dovere, e questo rischia di pregiudicare in partenza l’adesione a una comune identità collettiva. L’immigrazione va governata senza cedimenti buonisti alle sole ragioni degli altri, perché questo non porta all’integrazione, ma semplicemente alla resa.

La cittadinanza dunque non può essere un regalo, ma un’adesione convinta ai valori fondanti della nostra società, ed è inutile girarci intorno: per una parte non marginale del mondo islamico è la religione che definisce l’identità, non la cittadinanza. Come ha purtroppo dimostrato nei giorni scorsi la rivolta nelle banlieue.

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