Mai prima d’ora l’Unione europea aveva affrontato una tornata elettorale nelle condizioni drammatiche di questi mesi. L’aggressione di Putin all’Ucraina ha portato la guerra sulla soglia di casa, con la tentazione del despota russo di varcare quella soglia per testare i meccanismi di risposta della Nato. E la strage di matrice islamista del Crocus City Hall ha scosso dal torpore quella parte dell’opinione pubblica europea che riteneva sconfitto una volta per sempre il terrorismo. Lo stesso Putin, interessati a vedere la mano di Kiev nel fiume di sangue, ha dovuto arrendersi di fronte alla realtà e riconoscere nell’Isis gli autori della strage.
Con quale animo gli elettori europei si recheranno alle urne, e soprattutto quale giudizio avranno maturato da qui a giugno sugli eventi drammatici che ci toccano da vicino, è difficile dire. La Russia di Vladimir Putin proietta un’ombra minacciosa e destinata a pesare sul futuro dell’Unione. I jet di Mosca che sconfinano sui cieli della Polonia o l’assembramento di reparti militari al confine finlandese sono altrettanti segnali di un’aggressività dell’orso russo verso le democrazie atlantiche solo in parte giustificata dalla volontà di ricostruire l’impero che era stato degli zar prima e poi del comunismo.
Quale atteggiamento deve assumere l’Unione europea verso la guerra? Può affidare il proprio futuro alle sole virtù della diplomazia oppure deve costruire un sistema di difesa comunitario da integrare nella Nato? E quale politica estera deve sviluppare verso la Russia, nel Mediterraneo, verso Israele e il mondo arabo? Donald Trump, al netto degli eccessi che hanno reso la sua persona il simbolo del malessere che sta corrodendo le democrazie, aveva intuito per tempo l’indebolimento dell’alleanza atlantica, a causa soprattutto dell’insofferenza europea ad assumersi le proprie responsabilità politiche e in particolare finanziarie. Non si conoscono, da qui a novembre, quali cambiamenti potranno intervenire negli orientamenti di fondo dell’elettore americano, ma di fronte a una vittoria di Trump l’Europa verrebbe a trovarsi improvvisamente scoperta nel suo ruolo.
Le domande qui poste sono soltanto la premessa per comprendere fino in fondo il peso che avrà il voto europeo del 9 giugno. Le urne saranno uno spartiacque nella storia dell’Unione: dal voto potrà uscire un’Europa animata da un nuovo slancio verso il futuro, consapevole dunque delle proprie responsabilità e delle scelte conseguenti e ineluttabili da compiere, ovvero potrà uscire un’Unione malferma e incerta, avvolta ancora nelle nebbie di un sovranismo tanto velleitario quanto pericolosamente indulgente verso le ragioni di Putin e delle autocrazie in generale.
Stride, e non poco, con questa cornice drammatica il condensato di furbizia, colpi bassi e giudizi allusivi messi in mostra dalla politica italiana. Salvini che esibisce il video in cui Marine Le Pen attacca la presidente Meloni (e male aveva fatto Meloni a concederle un’apertura di credito) è solo un antipasto dei trabocchetti e trappole che da qui al 9 giugno costelleranno la campagna elettorale. Il leader leghista si sente all’angolo o, per essere più precisi, intuisce che un cattivo risultato elettorale segnerà per lui il fine corsa.
E come capita, nelle difficoltà può accadere che si perda in lucidità. Salvini sta offrendo ogni giorno di più l’immagine di un centro-destra non solo diviso nella gestione delle cose ordinarie, ma prossimo a divaricarsi nelle alleanze che pesano e contano nel Parlamento europeo. Giorgia Meloni morde il freno, non può concedergli repliche dirette senza con ciò aprire una ferita insanabile nella maggioranza. Assicurando però che mai lei parteciperà a maggioranze con forze di sinistra mentre altri (Salvini, ndr) lo hanno fatto, Meloni si preclude la possibilità di essere fra gli elettori del nuovo presidente della Commissione, fosse von der Leyen (ormai in declino) o un altro.
Non che le cose vadano meglio sul fronte delle opposizioni. Una Schlein sempre più incerta sul tipo di strategia da adottare nei confronti del concorrente Giuseppe Conte, è attesa a parole di maggior chiarezza sulle scelte europee. Le va dato atto di averlo fatto per l’aggressione della Russia all’Ucraina. Dovrà farlo anche sulla politica estera e di difesa che il Pd vorrà sostenere in sede europea e su questo terreno non potrà cercare accomodamenti o intese con il populismo di Conte senza confinare il Pd a un ruolo residuale nella sinistra europea.
Quale che sarà l’esito elettorale, certo è che dopo il 9 giugno l’Unione europea vista fino a oggi dovrà mutare rapidamente. Per accelerare sulla via del federalismo e degli Stati Uniti d’Europa, come in fondo sognavano i padri fondatori, e come continuano a credere molti di noi, o rifluire entro i vecchi confini dei singoli Stati saranno. gli elettori a deciderlo.