Sguardi languidi e flirt occasionali. Il quadro politico italiano offre l’ennesimo spettacolo del centro che si contorce in un valzer di alleanze. Da un lato, Matteo Renzi e il suo partito “Italia Viva”, dall’altro Emma Bonino e Riccardo Magi con “+Europa”, uniti nel tentativo di resuscitare il fantasma del Terzo Polo, che qualche piccola gioia la regalò alle elezioni politiche del 2022, attestandosi sull’8%. Un’intesa che, sulla carta, dovrebbe scaldare i cuori di chi auspica una forza centrista solida e coesa.
Ma è davvero amore? La storia ci insegna che tra i due “formidabili ragazzacci” del centro la passione è spesso sfumata in burrascosi litigi, nonostante la sintonia su molte tematiche. Un amore tossico, tormentato, naufragato a un certo punto anche tra i banchi del Parlamento. Renzi ha trovato la sua collocazione nello spazio politico, mentre Carlo Calenda si è rifugiato nel Gruppo misto, in compagnia di Alleanza Verdi e Sinistra, la stessa che ha ostacolato un’alleanza con il Pd nel 2022.
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Frammenti di un’area in cerca di identità: il Terzo Polo, nella sua rinascita, si propone come aggregatore di una galassia di partiti minori. Un’ambizione lodevole, ma che si scontra con la realtà di un’area centrista disomogenea, priva di una linea comune e spesso incline a personalismi e divisioni. Un pollaio vivace, ma che fine fa l’uovo? Le alleanze creative del centro, pur accendendo l’interesse degli osservatori, non scaldano i cuori, in cambio accendono gli animi. Il balletto delle coalizioni, seppur divertente, rischia di rimanere fine a se stesso se non si traduce in una proposta politica concreta e capace di intercettare le esigenze degli italiani.
Un’alleanza in Italia sembra ben lontana, specie nel campo largo in cui Conte, per arrivare a un’intesa tra le forze progressiste, pone la condizione di abbandonare la “visione tolemaica” di un Pd al centro dello schieramento con gli altri partiti dell’opposizione a fare da “satelliti”. Una pretesa che, facendo i conti con la realtà, sembra un miraggio lontano, come acqua nel deserto. A pesare sono le elezioni europee che, in virtù di un sistema proporzionale e con preferenze, non favoriscono le alleanze. Ma c’è altro. Come temi che dividono le due coalizioni, come Trump, il Mes, l’Ucraina e la Rai ad esempio.
Si comincia a intravvedere qualche detrito nella dolorante spaccatura nel centrodestra. In particolare tra la Premier e il leader del Carroccio. Uno scontro che preoccupa molto Giorgia Meloni, alla quale non è piaciuto l’attacco che Salvini ha lanciato, per interposta persona attraverso il video di Marine Le Pen, durante il convegno dei sovranisti a Roma. Un attacco frontale che mira a delegittimare l’ipotesi meloniana di una conferma alla guida dell’Unione europea di Ursula von der Leyen.
“È un errore dividere o far prevalere la campagna elettorale, rilanciando ipotesi di divisioni del centrodestra. È l’unico favore che si può veramente fare alla sinistra”, aveva affermato Meloni con tono riparatore ai giornalisti dopo la firma dell’accordo di coesione in Basilicata. In parole povere, un avvertimento al leghista: evitiamo di attaccarci e delegittimarci perché si indebolisce il governo. Salvini però insiste, come a dire: non sono io a creare divisioni ma chi vorrebbe sostenere un’alleanza poco spontanea per il centrodestra e chi pone i veti su alleati europei del centrodestra. Veti pervenuti sia da Tajani che da Meloni. Tarantelle quasi prevedibilmente seguite da baci e abbracci.
Di baci e abbracci al centro neanche l’ombra. Dunque serve un cambio di passo. L’area centrista, per giocare un ruolo da protagonista, dovrebbe coltivare una visione unitaria e una leadership forte. Un mosaico di partiti, senza una coesione profonda, rischia di suscitare niente più che una superficiale curiosità politica, destinata a dissolversi al primo soffio di vento.
Ad oggi, più che a un cambio di passo, assistiamo a una piccola svolta (che sia credibile o meno): Matteo Renzi, con la grande abilità comunicativa che lo contraddistingue (che s’inceppa al tentativo di esprimersi in inglese) ha portato Emma Bonino e Riccardo Magi dalla sua parte, convincendoli a non andare con il campo largo, sirena sempre all’opera. E la leader radicale sostiene che esiste grande compattezza, ma volente o nolente, stanno venendo a galla tutti i limiti dell’operazione. Spuntano veti e recriminazioni. Non si capisce quanto l’unità sia davvero in grado di reggere. Non manca chi è convinto della scarsa credibilità della narrativa che dovrebbe giustificare la convergenza di storie diverse.
Con tale operazione, molto tattica e priva di respiro strategico, il leader di Italia Viva ha messo il suo vecchio compagno di avventura, in seria difficoltà: Calenda rimarrà fermo nella decisione di separarsi definitivamente da Renzi e quindi dal Terzo Polo, oppure farà l’ennesima marcia indietro e tentare una riconciliazione dell’ultimo minuto? In entrambi i casi, il prezzo da pagare in termini di credibilità non sarebbe irrilevante.
Ma se fosse una gara di furbizia, partiti che non raggiungono il 4%, dovrebbero aggregarsi a liste elettorali altrui per ottenere i voti necessari per la sopravvivenza. Un po ‘come le nutrie, che se trovano delle tane di altri animali, se ne appropriano, sbattendo fuori casa chi ha realizzato il riparo. L’aspetto più sconcertante è che alle Europee si vota con il sistema proporzionale. Non c’è bisogno di aderire a uno schieramento per evitare di essere schiacciati. Eppure, proprio in questa occasione, come afferma Massimo Franco sul Corriere della Sera, si sta rivelando tutta la debolezza di chi teorizza ampi spazi per i “moderati” ma ne riempie solo una frazione, e non per responsabilità altrui.
La “porta lasciata aperta” al leader di Azione che ha deciso di non far parte dell’operazione, scottato dalla vecchia alleanza con Renzi, conferma e accentua la frantumazione di un’area che rimane divisa dai protagonismi. Ma non perché non esista un elettorato moderato in attesa di un’offerta politica convincente, e quindi rassegnato a votare controvoglia altre forze, o a astenersi.
Da un certo punto di vista il risveglio del centro c’è stato. Lento ma c’è stato. Sempre più partiti di quest’area politica comprendono che l’unione fa la forza. Soprattutto in un sistema bipolare come il nostro, dove la scelta è spesso limitata a due schieramenti contrapposti.
Le recenti elezioni regionali (esclusa la Sardegna) hanno acceso un barlume di speranza. Le coalizioni centriste hanno ottenuto buoni risultati, dimostrando che navigare al centro del lago non paga: è meglio stare lungo le sponde, a destra o a sinistra. In Basilicata e Calabria il centro si è alleato con il centrodestra, mentre in Abruzzo ha appoggiato il centrosinistra.
La lezione è chiara: chi si astiene dal prendere posizione rischia di autoescludersi, di essere considerato irrilevante e insignificante. È tempo di mettere da parte i capricci e unire le idee per creare un fronte coeso in grado di bilanciare gli estremismi di destra e sinistra. A beneficiare di questa unione sarebbero soprattutto gli elettori moderati, stanchi di vedere le loro speranze deluse da un centrodestra e un centrosinistra schiacciati su modelli sbagliati, come quelli di Conte e Salvini. È tempo di costruire un’alternativa forte e credibile. Un centro unito che sappia dare voce alle esigenze di una parte consistente del Paese, troppo spesso ignorata.
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