Mentre il governo celebra il calo ufficiale del tasso di disoccupazione, un’altra emergenza si fa sempre più grave: quella dei working poor, lavoratori che pur avendo un impiego non riescono a sfuggire alla povertà. Secondo gli ultimi dati riportati da Unimpresa, nel primo trimestre del 2025 in Italia sono oltre 3,2 milioni le persone che, nonostante un lavoro regolare, vivono sotto la soglia di povertà relativa. Una cifra che rappresenta circa il 14% degli occupati, in crescita rispetto al 13,5% del 2024.
Working poor: chi sono i nuovi poveri del lavoro
L’identikit dei working poor tracciato da Unimpresa dipinge un quadro allarmante. Non si tratta più solo dei rider o dei lavoratori stagionali: oggi la povertà lavorativa colpisce soprattutto i giovani under 35 con contratti atipici (il 28% del totale), i dipendenti del terziario a bassa qualifica (23%) e una quota crescente di lavoratori autonomi (19%), in particolare piccoli commercianti e artigiani schiacciati dai rincari.
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A pesare sono soprattutto i contratti precari e il caro-vita: come rileva Unimpresa, il 61% dei working poor ha un reddito mensile netto inferiore a 1.100 euro, mentre il 38% non supera gli 800 euro. Una condizione che diventa drammatica al Sud, dove il fenomeno interessa il 22% degli occupati contro il 12% del Nord.
Cala la disoccupazione ma cresce la precarietà
I dati ufficiali parlano di un tasso di disoccupazione sceso al 7,1%, il livello più basso dal 2012. Ma questa apparente buona notizia nasconde diverse ombre. La diminuzione è in gran parte dovuta all’aumento del lavoro precario e a termine: i contratti a tempo indeterminato rappresentano solo il 54% delle nuove assunzioni.
Inoltre, le statistiche non considerano quasi 1,8 milioni di disoccupati scoraggiati – persone che hanno smesso di cercare lavoro – né i 2,3 milioni di lavoratori in cassa integrazione o in attivazione di reddito di cittadinanza. Se si includessero queste categorie, il tasso reale di mancata occupazione salirebbe al 18,7%.
Le responsabilità di un sistema inceppato
Tre fattori principali emergono dalle analisi delle fonti. Primo, il problema dei bassi salari: il 27% dei lavoratori italiani guadagna meno del 60% del reddito mediano, la soglia Ue per definire il rischio povertà. Secondo, la frammentazione contrattuale: i working poor sono spesso intrappolati in rapporti di lavoro intermittenti, con 4 su 10 costretti a ricorrere a secondi lavori informali per arrivare a fine mese.
Terzo, l’inefficacia degli ammortizzatori sociali: solo il 35% dei lavoratori poveri riesce ad accedere a qualche forma di sostegno al reddito. Unimpresa segnala come il Reddito di Cittadinanza, dopo le ultime riforme, copra ormai meno del 40% dei potenziali beneficiari.
In questa Festa del Lavoro 2025 non si può ignorare il dilagare di povertà e precarietà rappresentata da quell’ampia fascia di popolazione che un lavoro ce l’ha ma non basta per vivere. Le storie dei working poor raccontano il fallimento di un modello che ha separato occupazione e benessere. Il dato importante da tenere a mente è che non serve solo creare posti di lavoro, ma garantire che questi permettano una vita dignitosa.
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