Alice Weidel non avrà creduto ai suoi occhi nel leggere la nota dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, che in Germania chiamano Carta fondamentale. Ha scoperto, come se lei non lo sapesse già, che si trova a guidare un partito di “destra estrema” i cui valori sono in forte contrasto con i principi della Costituzione del 23 maggio 1949. AfD, fino a ieri classificato come partito “sospetto di estremismo”, con la nuova classificazione decisa su suggerimento dei servizi segreti, si trova a essere un partito di “destra estrema” il che, in Germania, equivale a essere considerata una forza sovversiva. Il rapporto afferma che la concezione prevalente dell’AfD è ”incompatibile con l’ordine democratico liberale” e “basata sull’etnia e sull’origine”. Il verdetto è chiaro: il partito “ignora il rispetto della dignità umana” e promuove una visione etnica della cittadinanza che esclude i tedeschi con background migratorio, in particolare musulmani. Sono parole che altrove, e forse anche in Italia, non suscitano particolari reazioni se non in settori limitati. Sarà per la sensibilità anestetizzata in molti di noi, ma quelle parole segnalano l’importanza cruciale che a Berlino si vuole giustamente pretendere nei comportamenti pubblici insieme al rispetto di valori come la dignità della persona.
La domanda, come si dice, sorge spontanea: i servizi segreti tedeschi hanno impiegato più di dieci anni per capire la vera natura di AfD? Hanno cioè aspettato che una piccola forza protonazista, con radici soprattutto nei lander della vecchia Germania comunista, passasse dal 3-4% di consensi all’attuale 20,8% prima di scoprire che erano in presenza di discendenti di Hitler? La durata delle investigazioni è il risvolto più sorprendente di tutta la vicenda. Nessuno che abbia sentimenti genuinamente democratici, in Germania e fuori, ha mai nutrito dubbi sulla natura, gli obiettivi e le finalità di quel partito. Né il volto aggraziato di Alice Weidel, né la sua apertura affettiva all’amore lesbico (come se questo non fosse già praticato nella Germania di Hitler o in quella guglielmina) con una immigrata cingalese ci hanno mai fatto dubitare per un istante sulla sua impraticabilità politica, sulla disfunzionalità del suo partito rispetto alla storia tedesca.
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Rimane sempre la domanda: ma perché solo adesso? È davvero salutare per la democrazia mettere al bando il voto del 20% dei tedeschi senza che questo non provochi reazioni al momento imprevedibili? E come dovrà, e potrà difendersi uno Stato democratico di fronte a manifestazioni sul modello di Capitol Hill? Reagire con la forza senza darsi dei limiti, non finisce per trasformare la democrazia esattamente come vorrebbe trasformarla Alice Weidel, Vladimir Putin, Viktor Orbán (non metto nel gruppo Salvini, il quale non sa dove appendere la giacca).
La Germania eccola lì, di fronte ai fantasmi della propria storia. Gli stessi fantasmi che credeva di aver esorcizzato e richiuso nel baule di un passato che sembrava passato (cito un bel libro di Peter Brandt, figlio di Willy, “Il passato che non passa”) ma che si ripresenta mimetizzato dietro la maschera sorridente e accattivante di Alice Weidel. Chi ha scelto di muoversi con i piedi di piombo, come il cancelliere uscente Olaf Scholz, sa di maneggiare materiale esplosivo e invita le altre forze politiche a valutare, soppesare, meditare prima di inoltrarsi in una disputa giudiziaria che potrebbe lacerare il Paese e far partire la nuova legislatura in un mare in tempesta.
Al momento di scrivere queste note, si attende ancora la parola del cancelliere incaricato, Friedrich Merz. Sa di camminare sulle uova e preferisce saggiamente tenersi fuori dalle polemiche sulla natura anti-democratica di AfD. Chi invece entra in tackle scivolato, come aveva già fatto a Monaco, è il vice presidente americano. Ora, possiamo dirlo, del tutto privo di ogni cognizione storica. “L’Afd è il partito più popolare in Germania e di gran lunga il più appresentativo della Germania dell’Est. Ora i burocrati stanno cercando di distruggerlo. Noi occidentali abbiamo abbattuto insieme il Muro di Berlino. Ed è stato ricostruito, non dai sovietici o dai russi, ma dall’establishment tedesco”. Nella mente troppo indaffarata di Vance non si affaccia un interrogativo semplice e insieme inquietante: perché AfD particolarmente forte nei Länder un tempo comunisti? Perché un partito vuole discriminare gli immigrati, riconoscerli – quando riconoscerli – come cittadini di serie B? Perché, suggerisce un primo abbozzo di analisi, lo spirito nazionalistico e di casta apparteneva all’ideologia marxista-leninista e a tal punto che la struttura piramidale del potere sovietico costruì una delle società più diseguali. Sui battelli che incrociavano nel Volga, non c’erano i ristoranti riservati agli alti dirigenti, quelli per i funzionari e infine quelli per il pubblico indistinto? Provate a trasferire questo schema in una democrazia occidentale attraversata da tensioni etniche legate all’immigrazione e si scoprirà che AfD, ma non solo, ripete quello che era lo schema sociale dell’Urss: prima i tedeschi nativi, poi gli immigrati che hanno acquisito la cittadinanza, infine il pubblico indistinto dell’immigrazione. Per ciascuno di questi gruppi è da prevedere un diverso livello di accesso ai servizi sociali collettivi o a domanda individuale. Proprio come nella vecchia URSS. Chissà se un giorno un soffio di spirito aliterà mai nella testa di Vance e gli farà capire la vera natura del populismo che nella democrazia ci sta come i cavoli a merenda?
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