Primo Maggio e gender pay gap: in Italia le donne guadagnano ancora meno degli uomini

In Italia la disparità salariale tra i generi è ancora una realtà drammatica, che è importante porre al centro della discussione sui diritti sul lavoro

4 Min di lettura

In occasione del Primo Maggio, mentre si celebrano i diritti dei lavoratori, un tema rimane drammaticamente attuale: il gender pay gap, o divario retributivo di genere. Nonostante i progressi degli ultimi decenni, le donne in Italia continuano a guadagnare meno degli uomini a parità di ruolo e competenze. Secondo i dati più recenti, nel 2025 le donne italiane percepiscono in media il 13,5% in meno rispetto ai colleghi maschi, una disparità che in alcuni settori supera addirittura il 20%. Un problema strutturale che non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Unione Europea, dove il gap si attesta intorno al 12,7%, come evidenziato dal Parlamento Europeo.

Il gender pay gap: un problema sistemico

Dietro queste cifre non c’è solo una questione di “carriere interrotte“, ma un meccanismo ben più profondo. Il sistema patriarcale continua a scaricare sulle donne l’onere della cura, senza che vi sia un’equa ridistribuzione del lavoro di cura né un adeguato sostegno statale. Le donne non “scelgono” di guadagnare meno: sono spinte verso lavori più precari e part-time, spesso perché il welfare non offre servizi per l’infanzia accessibili o perché le aziende le considerano “a rischio maternità“. Anche quando restano nel mercato del lavoro, non è infrequente che alle donne siano assegnati ruoli meno pagati o promosse con maggiore lentezza rispetto ai colleghi uomini.

Quello che viene chiamato “soffitto di cristallo” non è una barriera invisibile, ma una struttura ben precisa: le donne rappresentano ancora meno del 20% dei top manager in Italia, non per mancanza di competenze, ma perché il sistema premia modelli maschili di carriera, spesso incompatibili con le esigenze di cura. A peggiorare le cose, le politiche familiari italiane sono tra le più arretrate d’Europa: asili insufficienti, congedi parentali sotto-utilizzati (soprattutto dagli uomini) e un fisco che non incentiva la condivisione del carico domestico. Il risultato è che le donne pagano una “penale di genere” che si traduce in stipendi più bassi, pensioni più misere e maggiore rischio di povertà in età avanzata.

Le proposte del Parlamento europeo, le richieste sindacali

Per contrastare il fenomeno, l’Unione Europea ha approvato una direttiva sulla trasparenza retributiva, che obbliga le aziende con più di 100 dipendenti a rendere pubblici i dati sui salari divisi per genere. L’obiettivo è chiaro: eliminare le disparità entro il 2030. Tuttavia, come riporta il Parlamento Europeo, l’Italia è ancora indietro nell’applicazione di queste norme, con molte imprese che non hanno ancora adeguato i propri sistemi di valutazione.

In occasione del Primo Maggio, associazioni e sindacati chiedono interventi concreti: dall’introduzione di quote rosa nei consigli di amministrazione al potenziamento dei servizi per l’infanzia, passando per incentivi alle aziende che promuovono la parità salariale. “Non basta una giornata di celebrazioni – ha dichiarato una rappresentante di CGIL – servono politiche strutturali che affrontino il problema alla radice“.

Mentre le piazze si riempiono di lavoratori e lavoratrici, il messaggio è chiaro: la lotta per i diritti non può prescindere dalla battaglia contro le disuguaglianze di genere.

© Riproduzione riservata

TAGGED:
Condividi questo Articolo