Messina Denaro, arrestato un avvocato: avrebbe gestito fondi per la latitanza del boss

Le indagini sono state portate avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, secondo cui Messina avrebbe stretto rapporti con gli esponenti mafiosi più importanti della zona di Trapani

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Il caso del boss mafioso Matteo Messina Denaro continua a caratterizzarsi di nuovi dettagli nel corso delle indagini riguardanti le sue attività criminose. Giunge oggi la notizia dell’arresto dell’avvocato Antonio Messina, che da oggi è agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione mafiosa. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l’avvocato 70enne avrebbe gestito i fondi della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, garantendo il sostentamento del boss mafioso durante la sua latitanza.

Le indagini sono state portate avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, secondo cui Messina avrebbe stretto rapporti con gli esponenti mafiosi più importanti della zona di Trapani. Oltre a Matteo Messina Denaro, si conterebbero anche Domenico Scimonelli, Giovanni Vassallo, Franco Luppino, Jonn Calogero Luppino. Questi legami sarebbero stati finalizzati ad acquisire attività economiche necessarie a garantire a Messina Denaro i fondi necessari per la sua clandestinità.

L’avvocato è stato già condannato per narcotraffico, concorso esterno in associazione mafiosa e subordinazione di teste per il sequestro di Luigi Corleo, suocero dell’esattore mafioso Nino Salvo. La Corte d’Assise di Trapani lo definì un personaggio “versatile e poliedrico“, che da un lato svolgeva l’attività di legale, “patrocinando mafiosi e delinquenti comuni“, e dall’altro era “attivo in vari campi del crimine e coltivava rapporti con esponenti di primo piano della delinquenza organizzata“.

Caso Messina Denaro, le intercettazioni sull’avvocato

Secondo quanto emerso dalle indagini, sembra che nel linguaggio cifrato utilizzato da Messina Denaro e dalla sua amante, Laura Bonafede, l’avvocato avesse il soprannome di “Solimano“. All’interno di alcuni messaggi scambiati tra i due si farebbe riferimento ad un piano di intimidazione nei confronti del legale, accusato di aver violato accordi economici con il boss. “Che Solimano tenesse tanto al denaro l’ho sempre capito, gli piace spendere e fare soldi facili, ma mai avrei potuto pensare che arrivasse a tanto“, scrive Bonafede in una delle missive.

Nella richiesta di arresto di Messina, i pm scrivono che dal biglietto è possibile intendere che il boss e Bonafede in passato avessero ricevuto denaro da Solimano, ma che la sua ingordigia e il suo mancato rispetto di accordi precedenti “si erano verificati anche in passato“, tanto da costringere il boss a “lanciare un avvertimento a Solimano in modo da fargli avere paura“.

Inoltre, dall’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido è emerso che l’avvocato avrebbe voluto appropriarsi di un bene confiscato alla mafia. Si tratterebbe di un terreno di cui avrebbe parlato a Giovanni Vassallo, altro esponente mafioso del territorio, sostenendo di volerlo acquistare per poi costruirvi sopra delle attività come “ristorante, supermercato” eccetera.

Dalla conversazione intercettata si evincerebbe che Messina avrebbe voluto coinvolgere nell’acquisto anche “questi del bar“, ovvero presumibilmente i proprietari del bar “OLA OLA“. L’avvocato avrebbe voluto richiedere il bene come entità societaria o associazione no profit e informarsi sulla cessione del bene con un assessore il cui nome non è stato indicato.

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