La privacy ai tempi dei social. Perché proteggere i propri dati è importante?

Oltre i rischi di discriminazioni algoritmiche, consenso e influenza, esiste una soluzione: il progetto Solid.

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I social sono nati come luogo di condivisione, espressione e intrattenimento ma ora iniziano a sorgere i problemi legati alla privacy. Infatti, L’ecosistema creato da post, like e notifiche è in realtà più complicato di quello che sembra.

Condividere una foto, mettere “mi piace”, cercare un ristorante su Instagram sono diventate semplici azioni quotidiane, ma che in realtà sembrerebbero alimentare un sistema in cui i nostri dati personali diventano materia prima per un’industria miliardaria. Qualcosa di cui ci ha già parlato nel 2020 il docufilm “The social dilemma“.

Privacy contro profitto, come funziona il sistema?

Nel contesto della forte digitalizzazione globale, le aziende come Meta e Apple sono al centro del dibattito sulla privacy. Ma il modello pubblicitario di queste aziende è basato su un modello di business in cui la maggior parte dei loro guadagni proviene dalla vendita di spazi pubblicitari mirati.

Come si riconosce il target perfetto? Queste aziende sono in grado di raccogliere una grandissima quantità di informazioni, come dati di navigazione, dati demografici e interazioni. Questi vengono utilizzati per costruire profili molto dettagliati, che permettono agli inserzionisti di targetizzare con grande precisione il pubblico.

Secondo Shoshana Zuboff queste informazioni vengono raccolte, analizzate e trasformate in “previsioni comportamentali“. In pratica, più le piattaforme riescono a conoscere di noi, più diventano precise nell’anticipare i nostri bisogni.

Quali sono i rischi reali?

I rischi potrebbero andare oltre la semplice invasività della pubblicità personalizzata. Un uso improprio dei dati potrebbe portare a discriminazioni o pregiudizi algoritmici: queste si realizzano quando l’intelligenza artificiale commette alcuni errori sistematici e ripetibili, che distorcono l’elaborazione dei risultati generando output discriminatori. Infatti gli algoritmi, pur essendo nati come strumenti neutri,  sono comunque progettati da esseri umani e possono produrre risultati sui dati da essi forniti.

Esempio reale di questo è il caso dello studio condotto dalla Johns Hopkins University con il Georgia Institute of Technology e l’Università di Washington. Il robot usato per l’esperimento ha appreso, in un brevissimo lasso di tempo, stereotipi attraverso modelli imperfetti, diventano razzista e sessista. Per spiegare questo fenomeno si parla di bias di correlazione, ossia una distorsione cognitiva formata da un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità.

A questo si aggiunge un altro problema: l’autocensura. Sapere di essere osservati cambia il modo in cui ci comportiamo online. Ci “autocuriamo”, rinunciamo alla spontaneità, modifichiamo la nostra identità digitale. Per questi motivi la questione intreccia allo stesso tempo politica, cultura, tecnologia e società.

Il problema del consenso

Uno degli aspetti più critici è la questione del consenso. Le piattaforme social giustificano la raccolta dei dati sostenendo che gli utenti ne autorizzano l’uso accettando termini e condizioni. Ma quanto è davvero consapevole questo consenso? Chi legge davvero 30 pagine di policy prima di iscriversi a un social network? La risposta è quasi nessuno.

Questo consenso “ottenuto” viene visto dagli esperti come il prodotto di un’asimmetria informativa. Le aziende sanno tutto degli utenti, mentre gli utenti sanno pochissimo su cosa accade ai loro dati. Ed è in questa zona grigia che si genera vulnerabilità.

La soluzione del creatore del World Wide Web: Tim Berners-Lee e il progetto Solid

Il World Wide Web, o web e riconosciuto con la sigla “www.”, è nato grazie a Tim Berbers-Lee. Basandosi sulle teorie di Ted Nelson, il padre dell’ipertesto, è riuscito a sviluppare la rete che oggi conosciamo. Ma di cosa parliamo? E’ uno dei principali servizi di Internet e permette di navigare e usufruire di un insieme molto vasto di contenuti, multimediali e non, interrelati tramite collegamenti ipertestuali (link).

Due decenni dopo aver inventato il World Wide Web nel 1989, Tim si accorse dei problemi che sarebbero derivati dall’uso sbagliato della sua invenzione. In particolare, Berbers-Lee fece riferimento a fatti reali: la verificata interferenza di hacker russi nelle elezioni presidenziali USA del 2016, lo scandalo tra Facebook e Cambridge Analytica, gli esperimenti psicologici condotti segretamente da Facebook nel 2012 su quasi 700.000 utenti, le domande di brevetto da parte di Google e Amazon su dispositivi in grado di percepire i cambiamenti dello stato emotivo nella voce degli utenti.

Per questo ha creato, in collaborazione con il MIT, Solid: un progetto per decentralizzare i propri dati contenuti sul web  e lasciarli sotto il pieno controllo degli utenti. L’obiettivo di Solid è rendere gli utenti capaci di avere il pieno controllo dei propri dati, inclusi il controllo di accesso e il luogo di archiviazione.

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