La giunta militare al potere in Myanmar ha annunciato un’amnistia per 4.893 detenuti nelle carceri del Paese. L’ottenimento della grazia è stata disposta dal governo in occasione del capodanno, celebrato lo scorso 13 aprile, ed è stato reso noto in una dichiarazione ufficiale dell’esercito.
I prigionieri, come si apprende dall’annuncio, saranno presto liberati “per partecipare al processo di costruzione dello Stato, per la tranquillità della gente e per ragioni di compassione“. Coloro che non saranno rilasciati in quest’occasione potrebbero comunque ricevere una riduzione della propria pena di un sesto, a meno che non abbiano commesso reati ritenuti particolarmente gravi come quelli di associazione a delinquere e terrorismo, omicidio o stupro.
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Fra i graziati dal governo del Myanmar non figurano naturalmente prigionieri politici di alto profilo, come l’ex primo ministro Aung San Suu Kyi, in carcere dal golpe del 2021 e divenuta simbolo della resistenza non violenta al regime militare. Beneficeranno dell’ amnistia anche 13 cittadini stranieri: a dichiararlo è stata la stessa giunta, che però non ha aggiunto altre informazioni circa l’identità dei prigionieri né sul tipo di reati per cui sono stati reclusi.
Myanmar, presto l’incontro con il presidente dell’Asean per gli aiuti umanitari: l’opposizione insorge
La giunta militare al potere è solita concedere amnistie in prossimità dei festeggiamenti per ricorrenze particolarmente significative per il Paese: lo scorso anno quasi 10 mila persone sono state liberate in occasione dell’anniversario dell’indipendenza dal Regno Unito.
Quest’anno l’amnistia concessa per il capodanno birmano arriva quasi contemporaneamente a un importante meeting che sta contribuendo ad alimentare le tensioni all’interno del Paese. A breve il leader della giunta del Myanmar Min Aung Hlaing dovrebbe incontrare a Bangkok il primo ministro malese nonché attuale presidente dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean), Anwar Ibrahim. Fra gli argomenti principali ad essere discussi nel colloqui ci sarà quello relativo agli aiuti umanitari per le persone colpite dal sisma, che lo scorso 28 marzo ha causato la morte di più di 3000 abitanti.
Le forze d’opposizione hanno espresso particolare timore per questo incontro, parlando, in un comunicato firmato da diverse sigle, di pretestuosità per quanto riguarda l’argomento principale del meeting: “Esprimiamo profonda preoccupazione per il coinvolgimento dei leader dell’Asean con il capo della giunta militare col pretesto di fornire aiuti umanitari. Quest’individuo è responsabile delle quotidiane uccisioni di civili innocenti, avvenute persino durante il tradizionalmente pacifico Capodanno birmano, con armi leggere, attacchi d’artiglieria, aerei da combattimento e bombardamenti“. Tra le realtà dell’opposizione al governo militare del Myanmar firmatarie del comunicato figurano il Governo di unità nazionale (Nug), l’Unione nazionale Karen (Knu), e il Partito progressista nazionale Karenni (Knpp).
Nel documento le organizzazioni insistono affinché la gestione degli aiuti umanitari, quanto mai necessari dopo che il Paese è stato colpito da un’ondata di piogge torrenziali che ha provocato ulteriori danni dopo la tragedia del sisma, non sia appannaggio esclusivo della giunta. “L’assistenza umanitaria non dovrebbe essere convogliata attraverso la giunta militare, che attualmente controlla solo il 22% del territorio nazionale. Gli aiuti devono venire indirizzati a tutte le parti interessate, comprese le aree amministrate dal Governo di unità nazionale e dalle organizzazioni rivoluzionarie etniche (della resistenza)“. Non esercitando pieno controllo sul territorio, perciò, la giunta non sarebbe legittimata a “rappresentare il popolo del Myanmar“
L’Asean e l’ambiguità dei rapporti con la giunta del Myanmar
L’ostilità manifestata per la notizia del meeting nasce anche dal fatto che la giunta militare è stata esclusa dai vertici dell’Asean a causa della mancanza di progressi per un piano di pace. Non solo, ma come si legge nel comunicato delle opposizioni, “la giunta militare guidata da Min Aung Hlaing è autrice di palesi violazioni del Consenso in Cinque Punti dell’Asean, in particolare del principio che richiede la cessazione immediata delle violenze”.
Tutto questo metterebbe in evidenza anche la fragilità dell’organizzazione stessa che, pur avendo fra i suoi obiettivi principali la promozione della pace nella regione e il miglioramento degli standard di vita della popolazione, mantenendo de facto una politica di non ingerenza non contribuisce al conseguimento dei suoi stessi propositi. Diversi documenti adottati dall’Asean, fra l’altro, non sono vincolanti per i Paesi membri: tra questi anche la Dichiarazione asiatica dei diritti umani. Per il Myanmar, quella scaturita dal sisma è una crisi nella crisi: a quattro anni dal colpo di Stato con cui la giunta ha preso il potere, la situazione in cui versa la popolazione è drammatica.
Secondo i dati di Amnesty International relativi a poco prima del terremoto, nel Paese si contavano 3,6 milioni di sfollati interni a causa dei raid della giunta, 13,3 milioni di persone in condizioni di grave insicurezza alimentare e 18 milioni bisognose di assistenza umanitaria. Violenze e arresti arbitrari sono poi all’ordine del giorno, come anche la detenzione e la tortura di sindacalisti e attivisti per i diritti umani. La tragedia del 28 marzo, perciò, è arrivata a mettere in ginocchio un Paese da anni già profondamente segnato dalle vicissitudini della sua storia politica.
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